Emanuele Ponturo: l’amore e le sue ombre

L’uomo ombra, l’uomo isola, o l’uomo solitario, vive in un camping che gestisce personalmente durante i mesi estivi. Quando può si diverte a chattare, a contattare le ragazze attraverso il web. Lei, Martina (ma si farà chiamare Alice) è una precaria nel mondo della scuola (“Io sono nella stessa gabbia, siamo tutti in uno zoo”), una giovane donna svuotata dalla ritualità romana nei pressi della stazione Termini. Ma come sempre, dietro l’apparenza, si nasconde ciò che Alberto Moravia definiva il vero viatico di ogni esistenza, la nostra interiorità, il nostro inconscio. Alice potrebbe essere proprio quella farfalla libera e creativa che Lorenzo catturerebbe per addestrarla ad essere “donna”, “ragazzina”, “puttana”. Ma il gioco delle parti, poco a poco, si capovolge. È lei che insegue lui, fino a presentarsi in quella terra sconosciuta. Isola Piccola è un posto magico, ma oscuro. Si percepisce l’energia di un vulcano, la sabbia in un deserto di lava. È un’isola figlia del fuoco, dice Lorenzo, che nel suo lavoro stagionale organizza le escursioni in barca, la pesca, la cucina. Assiste all’arrivo e alla partenza dei turisti, alle coppie che in estate si dividono sospinte dalle onde del mare che sbattono anche impietosamente sulla costa dell’isola come per provocare, sinistramente, un naufragio.

Emanuele Ponturo (Roma 1970), con L’uomo isola (Avagliano 2016), ha dato alle stampe un romanzo dove la vicenda basilare ha contorni sbiaditi, equivoci. Chi è Eleonora, l’ossessione di Lorenzo? Che fine ha fatto? E quest’isola, cosa nasconde? Un segreto, un’alchimia? Una sventura? E Alice, che si è fotografata nuda mandando delle istantanee, cosa vuole? Sfidare lui o sfidare se stessa? Lasciata ogni forma di inibizione, il rapporto diventa intimo, fatto di corpo, alimentato di eros notturno. Martina conosce l’avventura, soddisfa la curiosità. Il romanzo scorre velocemente e ci fa capire che l’amore è spesso un treno di passaggio, un sali e scendi emozionale, perfino un pericolo. “Il corpo dell’uomo come l’isola. Un corpo caldo. La stessa sensazione di calore che aveva provato quando si sdraiava sulla sabbia, sotto il sole. Adesso sì, si poteva abbandonare completamente nuda su quel petto, sentire battere il cuore come il mare batte sugli scogli”, scrive Ponturo. Lorenzo possiede gli elementi dell’incanto, ma anche dell’enigma. L’amore ha luoghi che tentano, richiami, echi. Martina, in fondo, sonda l’intensità. Quella dell’isola con i suoi colori e odori, quella dell’isolano con la pelle scurita dal sole, addolcito appena dalla lettura dei libri e dal contatto con gli ospiti. Emanuele Ponturo procede per zoomate, la cui lunghezza focale varia di episodio in episodio, come se i due personaggi fossero inseguiti da una telecamera, da un binocolo. Conclude la ricognizione sospesa tra luoghi e persone, tra immagini e visioni: “Quell’isola sperduta, l’isola lontana da tutto, le correnti, il vento e i viottoli, le stradine, le rientranze, le piccole baie, e la chiesa dove era stata, il fornaio, il camping, quel piccolo albergo dove si trovava ora, erano la risonanza di qualcos’altro”. Il riverbero, appunto, di un mondo interiore, drammaticamente realista, nutrito di baci, di braccia protettive, ma anche di silenzi e stordimenti. Si tratta di ottenere un piacere e di perpetuarlo, ma a quale prezzo? Ed è così facile riconoscersi per non fuggire più?

Alessandro Moscè

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