Ornella Nalon: capirsi nel confine della parola

Ornella Nalon è nata a Mira, in provincia di Venezia, dove risiede e scrive animata dalla suggestiva vista della riviera del Brenta. Oltre i confini del mondo (0111 Edizioni 2014) è un romanzo singolare pur nella chiarezza della storia delineata nel suo schema basico. Un prototipo che la letteratura ha spesso inglobato come modello: due universi che si incontrano casualmente attraverso due persone all’apparenza inconciliabili, sia per iscrizione geografica che per cultura, che per formazione.

Assireni, donna smarrita, poco più che quarantenne, appartiene al popolo dei Masai, assiepato in un villaggio sugli altopiani della Rift Valley, ameno territorio tra un lago e un monte, in Tanzania, nella sperduta Africa orientale dove le case sono costruite con il fango e i rami. Questo popolo nilotico è composto da nomadi e allevatori transumanti dotati di una struttura gerarchica, apicale. In una sede ospedaliera della zona si dà assistenza sanitaria alle popolazioni provenienti dai paesi limitrofi. Qui ci si ammala e si muore facilmente. Eleonora fa parte del personale sanitario dell’ospedale. È un medico chirurgo sessantenne e Assireni le confesserà i fatti determinanti della sua esistenza, riconoscendo ben presto, nella donna italiana, una figura complice.

Al racconto impudico delle esperienze si intrecciano gli struggenti ricordi, un veicolo sentimentale, accadimenti che si assomigliano. È la vita interiore e affastellata il senso di questo libro. Affiorano distanze colmabili come in un elastico emotivo, dove il proprio malessere si allaccia alla somiglianza annidata dietro un’immagine opaca, in una fisicità come tante. Dicevamo di due universi che si attraversano. L’Africa non è solo un continente, è stato detto. L’Africa è la terra delle contraddizioni, e per conoscerla bisogna viverci, essere pronti a mettersi in discussione, a soppesare le cose con la coscienza, umilmente, primitivamente. E in Africa sembrerebbe che le persone abbiano più propensione nel mettersi a nudo di fronte all’altro, da animali selvatici e incuranti di ogni pericolo. E’ proprio ciò che succede ad Assireni e ad Eleonora, come ad altri individui più defilati del romanzo di Nalon. “Mi piace parlare con te, mama. Riesco a raccontarti tutto quello che ho trattenuto dentro di me per anni e che non ho mai avuto il coraggio di dire per paura di essere considerata ingrata, o peggio ancora pazza. Tu fai apparire normale quanto io ritenevo malato. Sapessi quale liberazione è, per me. Ma ora devo andare”. La confessione sembra letta dalla pagina di un diario intimo, di una persona che parla con se stessa davanti allo specchio replicandosi a partire dalla bocca e dalla voce, come direbbe Jorge Luis Borges, per cui gli specchi sono “esecutori del patto di moltiplicare i riflessi”.

La scrittura di Ornella Nalon è ariosa, ma con punte di drammaticità. La trasparenza, per le due donne, diventa una maniglia alla quale aggrapparsi. David Grossman, scrittore israeliano, nel bellissimo romanzo Che tu sia per me il coltello (Mondadori 1998) fa dire alla sua protagonista: “La somiglianza che esiste è tra due tazze rotte nello stesso punto”. Ecco, questa definizione potrebbe essere decisiva per capire Assireni ed Eleonora. La giusta misura della comprensione fiorisce da un temperamento che non può essere frainteso. La parole si fondono in un abbraccio ideale lavando e ripulendo l’anima di entrambe. Un’anima sfavillante, non più estranea, perché finalmente svelata nel lessico privato, liberata da una morsa troppo stretta, sigillata dalla stessa cicatrice.

Alessandro Moscè

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