Alcune note intorno a “Dal buio della terra” di Donatella Bisutti

Alcune note intorno a “Dal buio della terra” di Donatella Bisutti (Edizioni Empiria, Roma 2015)

Fa. Da dove inizio? Forse da quel testo, a metà del libro, in cui l’autrice scrive di un suo laboratorio di poesia condotto in una scuola media? Lì una ragazza speciale, come il mio Collaudatore d’Altalene, diviene la poesia che afferra la matita per piangere di gioia. O forse da una intera sezione del libro, connotata sensualmente, dove ogni faccia o facciata, come dir si voglia, pare un debito desiderio (altro sinonimo del titolo di tale suddivisione) da evadere a chi è un pensiero dominante?

Re. Il titolo nella copertina, ripetuto in una ripartizione, reiterato in una composizione e nel capoverso stesso di tale combinazione indicano un doppio passo nella scrittura della Bisutti:
lo scavo e la scoperta che ne consegue.
Proprio come quando non si sa se mentre si scrive viene ferito il foglio o al contrario si da rilievo alla pagina bianca con un intimo tatuaggio.
Ma gli scavi tra i brani che leggo sono molti, difatti, come si trae dalle note finali di siffatto libro, questa è una raccolta di testi in parte usciti in edizioni estere, assemblata in 6 sezioni, scandite, in un periodo di tempo cercando a ritroso il filo perso ma che, dall’altra parte, ne ha un altro ancora da aggiungere. Arianna tuttora ha molto tempo per tessere.
Ogni momento della vita di Donatella in questo suo quasi diario senza date è appunto una scadenza perpetua, sua visione esistenziale fatta di istantanee, pertanto la scrittura è stretta nei versi. Deve fare qualcosa.

Do. L’iniziale posa di un’opera scritta è l’imprinting di gran parte dei libri.
Qui la prima poesia è un nuovo giorno: “Alba”, breve nella sua forma (quasi 2/3 di tale raccolta è composta da testi che vanno dai 2 agli 8 versi – circa 2/5 tra i 3 e i 4 versi) e pressoché manichea (“è chiaro ciò che di giorno nasconde / oscure / profondità) nel suo senso metafisico:

Un’oscura ferita getta il mondo
nella sua prima infanzia
La luce vi intinge le dita

Un’occasione erotica per redimerci, per ricominciare, per metterci in gioco nel bene e nel male? Proprio come nei banchetti d’Oriente quando il padrone di casa, illuminato, inizia inzuppando il primo frammento di pietanza per offrirlo al suo ospite più importante, così come l’amato accarezza le labbra dell’amata prima di dirgli in silenzio quanto la brama.
Ecco, ci si potrebbe fermare qui… contemplazione e amplesso.

Sì. Ma l’avvisaglia viene giustamente prima, nel frontespizio, dove sotto al titolo la poetessa pone la dicitura “Altre poesie”, a spiegare preventivamente che la sua penna avrà soluzioni ulteriori alla versificazione. Ripete che non basta la forma poetica, non s’accontenta della sua struttura ritmica. È un gioco per niente tranquillo quello che ci aspetta riflettendo su ogni foglio, fatto di affondi, squarci, perforazioni o per contrasto di sviluppi “contro il cielo”. Per lei “la vita” “nasce” “dal sovvertimento” e “il diritto è rovescio”: dove Pinocchio resta legno e il marito figlio.

Bis. Però noi andiamo controcorrente e riprendendo il classico genere letterario giapponese arriviamo dalla prima luce fino a “Sera”:

Quel fumo che sale dalle case
recupera all’infanzia
un’alternativa alle nuvole

Ecco che, di nuovo, ci potremmo fermare qui.
La natura essenziale (di caproniana memoria), una veste adatta per ogni occasione o per colpire il collezionista di versi per ogni stagione. Perché tutti questi testi? A tratti l’autrice ricorda Ponge in certe descrizioni di alcune cose, così il suo pensiero si dispiega per una riflessione in prosa come in “Zebra” da dove si riconosce nell’autrice l’impegno per avvicinare i ragazzi alla poesia (ricordiamo alcuni suoi libri precedenti: L’Albero delle Parole, Le Parole magiche, La poesia è un orecchio).

Si. Stamattina un’altra scossa, la più forte. Voglio uscire per non sentire le paure ma soprattutto per riprendere l’aria persa. Raccolgo alcuni libri caduti, altri li richiudo, così concludo questa piccola sonata con gli ultimi versi dove la “terra” “è firmamento” perché le stelle, i desideri quotidiani non muoiono mai.

Roberto Marconi

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