“Genesi e varianti delle Operette Morali” di Francesco Capaldo

Recensione di Rossella Frollà

Francesco Capaldo
Genesi e varianti delle Operette Morali
premessa di Vincenzo Placella
GESP Città di Castello, 2016

«Un libro difficile ma appassionante,  questo di Francesco Capaldo». Un esempio ben riuscito che coniuga filologia e critica. L’intento è quello di ricostruire l’officina del poeta Leopardi attraverso il suo sistema correttorio fatto di sostituzioni sinonimiche, di aggiunte interlineari e di un’analisi finissima dei testi che riferiscono il file rouge di tutta la produzione del 1824. In effetti, l’autografo A conservato presso la Biblioteca  Nazionale di Napoli contiene il primo nucleo (20) di quelle che il Poeta denominerà le Operette Morali. Sembra che sia stato composto tra il 15 gennaio e il 13 dicembre de 1824. E gli stessi interventi correttori apportati ad A fanno parte «dell’usus scribendi» del Poeta e non già si costituiscono progettualmente come vera e propria minuta di A. Dopo una lunga «autopsia del codice» e, quindi, confortato  da elementi codicologici, Capaldo giunge alla convinzione che  i singoli testi contenuti nel codice napoletano restino singoli, non facciano parte di un macrotesto e che soltanto in seguito nel loro complesso Leopardi li definirà Operette Morali. Da queste sorprendenti indagini, Capaldo, scrive Vincenzo Placella, «dimostra inconsistente la vecchia credenza che lo Zibaldone fosse un “serbatoio” per le Operette: lo studioso indica, invece, una circolarità tra l’officina dello Zibaldone all’altezza del 1824 e il contemporaneo manoscritto A delle Operette: ciò anche in base ad attento esame  degli inchiostri e delle date. Ne risulta un continuo e reciproco intersecarsi di tematiche, talora nella medesima giornata, fra i rispettivi testi». La luce che ne viene fuori è la circolarità che crea tra lo Zibaldone e le Operette Morali un’aria chiara nella lettura delle opere e nel progetto di edificazione della letteratura italiana. Negli anni  che vanno dal 1819 al 1821 Leopardi matura la convinzione di indagare sulle cause della decadenza dell’Italia come nazione. Urge in lui una sorta di riedificazione che parta dalla letteratura. Il Disegno letterario si va sviluppando con l’idea di una prosa satirico-comica sull’esempio di Luciano:

Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò
avere impiegato le armi dell’affetto e dell’entusiasmo
e dell’eloquenza e dell’immaginazione nella lirica, e in quelle prose letterarie
ch’io potrò scrivere; le armi della ragione, della logica, della filosofia,
ne’ Trattati filosofici ch’io dispongo, le armi del ridicolo
ne’ dialoghi e novelle Lucianee ch’io vo preparando. [ … ]

E il “ridicolo” è quel «giucolino di parole» che crea l’equivoco molto caro e sostanzioso alla comicità del Goldoni, Berni e Luciano. Vi è nel “ridicolo” una funzione non edulcorata di critica sociale. Tuttavia la forza del riso che dovrà essere costruttiva come nell’Alfieri, nelle Operette non lo è e l’assenza di speranza, di progresso si avverte forte nei dialoghi che tentano di ricostruirsi con lo stesso Spirito comico alfieriano ma che invece si spostano su un discorso filosofico-morale. La forza del riso e il concetto di ”comico forte” non rappresentano più le armi per scuotere la patria. La consapevolezza della decadenza del genere umano, l’impossibilità della redenzione, il destino all’infelicità si affacciano prepotentemente già nella Storia del Genere Umano. Nella lettera al Vieusseux (2 febbraio 1824) il Poeta ritiene significativo «promuovere principalmente il progresso e la propagazione delle scienze morali.» Viesseux pubblicherà nel 1826 le Operette nell’Antologia. Nel Dialogo della natura e di un’anima gli interventi di correzione in corso d’opera sono la ricerca di una essenzialità espressiva che riferisce con forza l’infelicità del sentire: il forte desiderio di beatitudine e il forte scontento di esserne privi. Le sostituzioni sinonimiche risultano importanti per l’accumulo di materiale espressivo. Nel linguaggio minuziosamente curato troviamo il codice di ogni personaggio, della sua mediocrità o della sua caratura morale. Spesso i sintagmi vengono corretti i e così ne Il Colombo vi è la sostituzione al rigo 45 del sintagma «animali ragionevoli» con «creature razionali» (ciò a significare tutti gli esseri dotati di ragione, animali inclusi) e al rigo 47 sostituisce «creature intellettuali» con «animali intellettivi». Vi è in quest’ultimo sintagma una critica indiretta all’antropocentrismo. Da un lato restringe al solo intelletto la capacità di comprendere la varietà del reale e dall’altro estende ad altri animali, considerati come prodotti della natura, la possibilità di essere dotati di ragione. Velatamente il termine animale riconduce al materialismo leopardiano che non finisce mai di analizzare il sentimento e l’atteggiamento umano di fronte al mondo, di razionalizzare il dolore o il pericolo scampato come offerta e dono per una nuova conoscenza e un atto nuovo che «ci fa cara la vita, ci fa pregevoli molte cose che altrimenti non avremo in considerazione.». Si sviluppa il tema del “piacer figlio d’affanno” «cioè che l’amore della vita è più intenso negli uomini dopo che questi hanno rischiato di perderla».  È opinione del Capaldo che l’aggiunta interlineare serva a ritmare il testo. Nelle Operette Leopardi esplora la realtà in forma aperta e dialettica secondo un movimento che si configura circolare, pronto a investigare senza chiusure o estremismi. Pur se matrigna la natura offre creature felici. In tal senso gli uccelli si trovano in uno stato quasi utopico di felicità, in una realtà che vive in perenne movimento e non si accorge del dolore di esistere. Passata la tempesta «tornano fuori cantando e giocolando gli uni cogli altri». Paradossalmente pare che la matrigna Natura nulla può «sulla letizia che prendono del giorno nuovo» e su «quel piacere che è generalmente a ogni animale sentirsi ristorati dal sonno e rifatti». Preziose in questo libro le tessere che danno luce alla costruzione delle Operette Morali, ne ripercorrono la stesura e l’arte correttoria, conferendo una angolazione inedita di lettura, la tensione della mente del Poeta nel mentre si accinge a rivelare una verità.

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