Appunti su La linea alba di Antonio Santori

Appunti su La linea alba di Antonio Santori
Poesia della pagina bianca

di Riccardo Frolloni

Generalmente non credo alle coincidenze, poi vengo puntualmente smentito, non ci si ritrova a leggere della grande poesia per caso. Qualcosa è accaduto, qualcosa che non è facile nominare è intervenuto, così mi schianto contro le parole di Antonio Santori, marchigiano, nato a Montreal in Canada, un padre ritrovato, di cui ignoravo l’esistenza e che ora si fa presente più che mai, con cui devo fare i conti. Per Italic Pequod è stata appena pubblicata l’Opera Poetica, La pagina bianca del possibile e del necessario (Italic Pequod, Ancona, 2017), che fa tornare in circolo i suoi testi oramai introvabili, i quattro poemi, da Infinita (1990) a La linea alba (2007), a dieci anni dalla sua prematura scomparsa.

In una realtà illusa dalla velocità, la forma poematica è sicuramente una scelta politicamente scorretta. Il poema è una forma dialogica, nasce dalla narrazione orale, e il dialogo presuppone un tu, un voi, certamente un noi. Il tema dell’altro è un tema che ho trovato in Nel Magma di Mario Luzi,  anch’esso una sorta di poema a tappe, una Luzieide, dove Mario-personaggio si confronta con le persone-emblema della vita, l’Altro, il prossimo, in senso cristiano ovviamente, ma anche il mondo, con le sue brutture, le sue deformazioni; per fare ciò il poeta necessita di un’immersione Nel magma della vita, Nell’opera del mondo, per capirne i meccanismi e provare ad uscirne purificati, benedetti. Trovo una certa contingenza con l’operazione che Santori compie ne La linea alba, lo chiama “l’ospite velato” l’altro a cui è rivolta la poesia, che non può essere un altro definito, altrimenti equivarrebbe ad una semplice stretta di mano. Così la poesia diviene la ricerca della parola giusta da pronunciare:

Perché essere in questo luogo / è molto, e certo dire / dove siamo / è il nostro compito (…) Per questo mentre / vivo tutto mi sembra / innominato.[1]

Stilisticamente Santori mette in atto un abbassamento del registro, il sermo merus oraziano, ripreso ancora da Luzi tramite l’insegnamento paolino, un flusso piano in connubio con la forza mitico-simbolica del tono epico e biblico, veterotestamentario; l’epica che narrando il mito nomina l’essenza non definita delle cose[2]. La narrazione si fa nominazione e cioè conoscenza, presa di coscienza, come il racconto del profeta Nathan che commuove David, lo converte, lo rende Cantore, il poeta che in altrui vostra pioggia repluo[3], che dispiega la speranza. Per una missione simile, la parola deve scendere sul lettore come un crisma, segno, incisione, lasciare l’impronta e quindi l’assenza, la presenza dell’assenza – signatura rerum[4]. Il movimento verso questo tipo di Parola è la poesia stessa, lo sviluppo sub-poetico che percorre l’opera, una parola-muta che dice tutto, l’Aleph, quel silenzio che Santori chiama linea alba, la pagina bianca del possibile e del necessario, pagina-schiuma, pagina-oceano:

L’oceano non aveva // memoria del vagabondare di Gilgamesh, / né delle spade e delle teste tagliate nell’Iliade. / Era un’epopea dove ogni verso veniva cancellato // e scritto di fresco sui fogli della risacca che esplode / nella cieca violenza di un’onda che rimpiazza l’altra / con un solco e nel sospiro che affanna il cuore // e che comincia in Guinea per finire, esausto, qui; / comunque lo si legga, non è una nostra sconfitta / né una vittoria; infradicia ogni sopravvissuto // di benedizioni. Non ha mai variato il metro per adeguarsi / al gusto del tempo, è una pagina immensa, senza metafore.[5]

Derek Walcott è un autore che Antonio Santori amava, che ha trascinato nelle nostre Marche, a Porto Sant’Elpidio, dove hanno letto insieme le loro poesie. Stiamo parlando del Walcott di Omeros, che riprende la terzina dantesca, la rima incatenata, recupera l’epica classica e ne fa un’epica contemporanea, un poema. Così Santori, come Walcott, riesce a traslare i personaggi dal loro contesto iniziale alla storia personale del poeta, trasfigurati, risemantizzati, personaggi-simbolo di qualcosa che va ben oltre la narrazione, ma che in essa si muovono. Poiché leggere Pinocchio vuol dire aggrovigliarsi[6], allora leggiamo di un Pinocchio poeta che è anche Giona, fuggono, ma questa volta la città è una città del Canada, accumunati entrambi dalla ribellione, la storia di una disobbedienza[7]; leggiamo di una Fata compagna, moglie, creazione; leggiamo del padre (falegname) che è Padre, e perciò il figlio è Figlio: Sono stato chi ha modellato un giorno / un pezzo di legno, trovato per caso / o forse ritrovato, dentro di me, / già concepito. Padre ritrovato nel pescecane o balena che è il tempo, il mondo, la madre della notte[8]. Questo padre dalle mille sfaccettature è emblema della pagina bianca, verso questa c’è la necessità di nominarla, dare un nome alle cose è l’inizio del percorso della conoscenza, un ritorno alla vita. Ma per approdare alla conoscenza dobbiamo compiere di un viaggio, una purgazione, il personaggio-Santori-Pinocchio-Giona, come un Dante-David-Enea-Paolo: Se io sono l’albero, il padre del fuoco, il figlio, / un giorno capiranno perché mi sono perso / nel ricettacolo cosmico.[9] Questo viaggio alla ricerca del padre (comprendere che sempre // cerchiamo nostro padre[10]), quel padre che è nel bianco della linea alba, il primato del bianco / sotto la parola[11], che imbrunisce a volte con il concepimento, credo sia, in fondo, la poesia stessa, come un circolo virtuoso, gli opposti che si confondono:

forse è per questo che la poesia non è mai / d’aiuto, la pagina schiuma / dell’enorme balena bianca, la pagina / regno dei morti e dei versi incredibili / che si perdono nel lavandino / con i peli della barba, forse è per questo / che sono rimasto per sempre quel ragazzo / in attesa di una pagina del padre / dall’aldilà terrestre, una pagina / del mostro marino, emanazione della dea / del diluvio, raccontando a me stesso / che il dolore è il punteggio, che l’Unico / e il Complice diventeranno / il materiale del tempo, davanti al fuoco / del caminetto, l’ultimo giorno dell’anno,[12]

In questa poesia la mia generazione trova un maestro, un padre scomparso ma finalmente ritornato, come se il viaggio compiuto da Antonio Santori e narratoci ne La linea alba sia precisamente il nostro viaggio, in questi diluvianti tempi di passaggio, alla ricerca di una parola di speranza, la sua poesia.

 


[1] A. Santori, La linea alba, da L’Opera Poetica, Ancona, Italic Pequod, p.114-115

[2] A. Bianchi e C. Catà, Prefazione, in A. Santori, L’Opera Poetica

[3] Dante, Par. XXV, 78

[4] G. Agamben, Signatura Rerum

[5] D.Walcott, Omeros, Milano, Adelphi, p.503

[6] A. Santori, La linea alba, da L’Opera Poetica, Ancona, Italic Pequod, p.108

[7] G. Manganelli, Pinocchio: Un libro parallelo, Milano, Adelphi

[8] A. Santori, La linea alba, p.28

[9] ivi p.52

[10] ivi, p.63-64

[11] ivi, p.113

[12] ivi, p.84

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