Lo spazio del mito

Recensione a Tierra y mito. Poesía 1967 a 2012 di Umberto Piersanti

«Fermati, istante, sei bello!»
Faust – Goethe

«Il mito è una parola»
Roland Barthes

Solitamente il filologo, entrando in relazione con un testo, considera una serie di testimoni che l’obiettivo del suo lavoro gli impone di osservare: ai diversi testimoni corrispondono allora i diversi tempi che la materia linguistica attraversa, fase dopo fase, nelle sue organizzazioni. L’elaborazione di un testo si rivela così pienamente storica, e non è raro che, nella nostra modernità ricca di tracce, concentrando la sua attenzione sulla storia di una singola poesia, il filologo trovi davanti a sé, in primo piano, tasselli anche eterogenei che si distinguono dal continuo fluire dell’esperienza umana retrostante.

Da un testo si può quindi collezionare una costellazione di stesure precedenti l’edizione al fine di ricostruire – con interesse stilistico – i passaggi che conducono alla forma compiuta, attraverso le varianti, dalla prima stesura in appunti del nucleo originario d’ispirazione; anche, con questo punto della serie, uscire dalla letteratura in senso stretto ed entrare nella sua preistoria per riconnetterla  al vissuto dell’autore, questo al contesto materiale o al paesaggio circostante – ricercare i dettagli che riescano a innestare in un unico sistema, mentre lo si ricompone, il prodotto artistico, la biografia (con la sua memoria e la sua biologia), la storia degli uomini di cui questi elementi fanno parte.

D’altra parte, è possibile seguire una strada diversa quando, partendo sempre da una sola poesia, si tiene conto della serie di edizioni che lo stesso testo ha avuto anziché introdursi nei meandri d’inchiostro che lo scrittoio conserva e che la pagina stampata occulta: le pubblicazioni, con o senza variazioni, costituiscono le tracce in chiaro – interne alla storia della letteratura – che l’autore fa percorrere ai suoi testi; le apparizioni di uno stesso testo nelle occasioni offerte da riviste, raccolte e antologie disegnano l’itinerario di un viaggio diretto ai destinatari: nel presentarsi del testo mutano le coordinate  temporali d’intorno, le latitudini, i compagni che lo affiancano – anche se la sostanza rimane identica, i suoi contorni l’arricchiscono di nuove sfumature.

Queste due tracce si sovrappongono per costituzione in Tierra y mito. Poesía 1967 a 2012 di Umberto Piersanti (Bogotá, Uniediciones, 2019), antologia di testi scelti dall’autore dall’intera opera in versi pubblicata in raccolta fino a oggi e tradotti da Antonio Nazzaro in spagnolo. Contestando, si potrà facilmente affermare che la validità dell’assunto ha una estensione, se non universale, almeno generale per l’autore in questione – e ciò passi: piuttosto, preme qui annotare la condizione strutturale che questo assume nel libro in oggetto fin dal titolo. Tierra y mito non è la prima antologia in lingua spagnola di versi dell’autore (anzi, ricordiamo la presenza a oggi trentennale con El tiempo diferente: antología poética, a cura di Carlo Frabetti, Amelia Romero Editora, 1989), ma ha una sua peculiarità che lo rende un prodotto interessante – e ciò nonostante alcune sviste tipografiche nella riproduzione dei componimenti. Nell’introduzione al libro Alberto Fraccacreta espone in modo chiaro – e puntuale su ciascuna raccolta – la poetica di Piersanti nel suo sviluppo diacronico: si potrà agevolmente riconoscere come il carattere dell’antologia appartenga alle istanze lì appuntate.

La poesia di Piersanti, attraverso tutti i suoi cinquanta e più anni di attività, si riconosce per una profonda e personale capacità di interconnettere nel quadro dei suoi versi le vicende personali e la storia con quella dimensione altra, estetica, antropologicamente propria della letteratura, dell’arte e della natura. Questi due mondi, distinti nella realtà per la loro divergente tensione all’effimero e all’eterno, si ricongiungono nella poesia per i tramiti forniti dalle occasioni interne della memoria ed esterne della materia – spesso naturale (flora e fauna precisamente nominata e descritta), ma anche umana e storica: quasi corrispettivi di verso e lingua, sono assieme luoghi che si offrono al poeta come correlativo, soglie d’accesso al perdurare.

È questa la linea che unisce i componimenti di Tierra y mito, scelti da tutte e nove le raccolte dell’autore: le interrogative del Frammento lirico – unico estratto dall’esordio La breve stagione – si presentano come l’incipit fuori dal tempo d’ammonimento e invito al viaggio, e mentre riunisce in sé le note che si dipaneranno lungo i sentieri di posti e momenti richiamando il passato, apre immediatamente alle vicende storiche, ai «tumulti / gli studenti scendevano alle piazze» (p. 29), al rifugio offerto dall’Appennino; Sui colli di Bologna nei giorni del mio male (pp. 38-41) e Le margherite gialle dell’autunno (pp. 42-45) iniziano a inserire i ricordi più lontani a fianco dell’attuale; I quarant’anni messi di traverso, meditando che «la vita è un pomo rosso e mi dispiace / che ad ogni morso un poco s’assottiglia» (p. 97), sembra attendere l’espansione virtuale di quel pomo con l’attingere alle memorie non più solo personali; Antichi giochi (pp. 204-207) sospende infine il dettato sulla memoria che persevera nella ricerca del senso delle cose, anche del male, mentre il tempo continua a scorrere impetuosamente.

Ma forse il luogo dove l’interlocuzione tra le idee di terra e di mito si svela con particolare prolificità per densità e forza figurativa è la poesia Nausicaa (pp. 58-61). Come non vedere nella trasfigurazione della ragazzina minorenne, nell’avventura di questa con l’uomo esperto, una sostituzione in loco, laddove in una selva o in un canto pastorale poteva essere presente una ninfa tra le piante della macchia? Si potrebbe ricordare Manet e Le déjeuner sur l’herbe. La sublimazione non rinnega la realtà di lei che, facendosi presente nella composizione in ogni modo, si affianca anzi a quel codice rappresentativo per romperlo, scalzarlo nel finale. Così che il processo immaginativo si mostra nella sua funzione: serve per consegnare quella materia alla poesia, quella ragazza al luogo estetico che ora le appartiene.

No, non c’è alcun intento parodico però, o almeno non caustico: la fisicità dei gesti non cede a volgarità di alcun tipo nella sincerità del sentimento e della passione, mentre è invece il meccanismo proiettivo che, rivelandosi nelle stesse parole del poeta-professore, scopre – con un tono un po’ crepuscolare – il patetismo un po’ invecchiato di lui e, assieme all’io lirico, prende coscienza di sé e della realtà in cui vive, della bellezza che vi si trova.

Si è riportata in epigrafe una citazione dai Miti d’oggi di Roland Barthes: una piccola provocazione che vuole aprire a un possibile approfondimento. È nota, benché molto sottovalutata di questi tempi, la radicale opposizione al mito che il semiologo francese sferrò dalle pagine del libro; così come il giudizio che vi trova la poesia, sempre soggetta al rischio di essere acquisita dall’ideologia dominante pure quando riluttante agli schemi classici. Questa posizione originò la risposta di Sanguineti, il saggio Poesia e mitologia, fondazione estetica dei Novissimi. Ora, nulla è lontana da entrambe le posizioni come la poesia di Piersanti, e ciò fin dalle sue origini: ma si badi che, nonostante la totale assenza di intellettualismi, forse non è trovabile un’altra soluzione in grado di competere con quelle allo stesso modo.

L’impostazione classica, che parte dai valori della più alta tradizione lirica italiana, non impone schemi o formule sclerotizzate, quanto saggia la capacità di quei valori di perdurare nel confronto costante col tempo; la realtà non cede a tenerezze facili, sublimazioni ineffabili, sarcasmi o tragicità abissali, ma in modo fermo cerca e trova un modo per essere acquisita e afferrata mantenendo tutte le sue tonalità. Terra e mito è una dicotomia, ma non l’opposizione tra due alternative radicali, quanto piuttosto la congiunzione di due poli, due elementi complementari e assieme necessari per la poesia di Piersanti. Le poesie, selezionate quelle di natura più strettamente esistenziale, sono la materia prima a cui Tierra y mito attinge direttamente per ricomporre in un itinerario inedito la vita poetica che l’autore ha tracciato raccolta per raccolta, testo per testo.

Costantino Turchi

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