La sposa vestita di Angelo Lumelli

di Rossella Frollà

La sposa vestita
di Angelo Lumelli
Edizioni del Verri
Milano, 2018

 

“A pranzo avanzato ero stanco di fotografare il vestito della sposa, impenetrabile.
L’ho fotografata di spalle, per puro caso, mentre teneva la mano sinistra, adorna della fede nuziale, appoggiata sulla tovaglia, inerte, misteriosa, al punto da pensare che potevo toccarla, o addirittura, portarla via. Fu in quel momento che vidi il corpo della sposa muoversi sotto il vestito. Se l’avessi detto a Vale avrebbe fatto una risata da fare voltare tutti.”

Il motore di questo libro non è il plot che qualche volta distrae dalla verità delle cose, ma sono le cose stesse che richiamano il protagonista e i suoi compagni di viaggio: Vale, Helmut, Elisabeth, Moses, Oscar, Matilde, Confù, Fu Giuseppe, Clementina, Franzi, Fulvia. Le cose chiamano lì, dove la loro essenza parla della vita e del mondo. Così l’occhio del fotografo, protagonista di questo racconto, si fa tenero e rapace, prensile di fatti e immagini che diventano detriti e prospettive. Raccolgono le piccole gioie, le ferite della vita a volte dolorose, a volte incomprensibili, ma sempre fertili se guardate sotto la giusta luce. Le immagini sono il vestito del mondo e delle spose. Sono tutte quelle erbe che nomina Confù, i «semprevivi» che trovano «l’estasi nel buio, dentro la polpa. Più il sole picchia, più il semprevivo tiene l’acqua in una oscurità impenetrabile. Sai che i semprevivi vogliono stare al sole? Quello è il loro grande piacere. Una sfida. All’ombra intristiscono subito, si sformano, le roselline si aprono, pallide, come dissanguate». E Confù «è capace di ascoltare quell’acqua al buio per ore», non solo quella del Ticino. E dice ancora: «se raspi un po’ sotto le foglie è tutto vivo» e lì troviamo strutture di significato non altrimenti visibili. «ogni cosa è il paragone di un’altra», l’esperienza della colpa e della malattia colpisce duro mentre «la vita mette in mezzo una primavera dopo l’altra, bella, piena di grazia». L’angoscia, la tristezza, l’attesa infranta non danno più ali al pensiero, e quando la solitudine giunge all’isolamento autistico, l’attacco improvviso dell’occhio al niente dell’aria è il tutto di ogni cosa che non si può respirare, viene l’asma. Ogni amore si può scatenare e forma nell’aria una scia luminosa. Così nelle foto misteriosamente tutto si tocca o addirittura si porta via. I corpi e le cose in movimento e le superfici  richiamano altri corpi e superfici. Scintille di fatti «mandano i pensieri al ricovero». «Altre volte lo spirito scende nei fatti per liberarli». «E se il vestito fosse lo spirito? E se il vestito fosse la nostra astrazione, la nostra fratellanza?». Allora un vento solitario nel girovagare scopre sentieri felici passati inosservati. Del resto ogni inizio cambia le carte in tavola e «un fatto è una nullità rispetto alla sua preparazione». Il mondo si lascia vedere nel mentre sui golfini delle ragazze il lievito è all’opera, l’occhio ferma le immagini e l’aria che si lascia andare sotto le gonne a campana «in una lucentezza senza aliti, pura come la metafisica». Di colpo finisce anche il passato, quello che «ti faceva voltare e tu ti incamminavi, come una penitenza.».

Il mondo bisbiglia insieme alle gemme dei pioppi, quando gli alberi cominciano a cambiare colore. «È un colore che dura una settimana, poi ne esce un altro leggero come le piume degli uccellini», come l’intuizione per una confidenza autentica ritrovata. Questo antico legame che torna a galla come un’occasione e lascia riposare il cuore quando è stanco, è la madre di Vale, «come l’ultima madre in questo mondo». E nel mentre ogni inizio è portato via da un altro, il protagonista riflette sugli aspetti luminosi e oscuri della condizione umana. Il volto della malattia fisica e psichica si unisce all’antico sentire adolescenziale con le ascese nelle vertiginose gioie stellate e le discese negli abissi della fragilità, dell’insicurezza, dell’angoscia. Il volto goliardico e scanzonato ben si accompagna alla condizione adulta che già conosce i fatti ed è in grado di navigare  nel mondo degli altri, mai separato da noi. E dunque lungo la vita, tra un’occasione e l’altra, si sfilano le emozioni e il sentire che sorveglia l’accaduto. Lo sguardo è quello dell’incanto. I personaggi raccolgono l’anima delle cose, le emozioni anarchiche e disordinate dentro il tempo che si lascia a terra nel mentre si vola in alto, alla guida di un camion e semplicemente persi nelle «intime glorie che rotolano su e giù in balia dell’onde», in lontananza. L’occhio sembra non bastare per descrivere la meraviglia. In autostrada arriva il risveglio vero, una «fanfara di felicità», uno scollamento dell’anima che si posa nell’aria, si lascia andare e come «l’erba secca con il vento suona». Il protagonista racconta l’intimità, racconta la sua nuova esperienza di camionista «A volte nelle cose non si può entrare. Questo le rende ancora più insistenti.». C’è qualcuno che sente l’arrivo d’un fatto, maturare nascostamente. Ma questi sono i sentieri che portano a perdersi nel nulla e per il nulla, si sa, i fatti sono miracoli, sono come le città che si vedono di lontano, così come sono, dall’autostrada, senza la gente che le confonde. E il nulla soffre dappertutto. Le nostre vite sono «le foglie chiare sotto/come le ragazze in bicicletta/gli volano in alto le gonne/e tutto torna fermo.»E dunque «da cosa ci ripara il vestito?» Dalle voragini o dalle felicità nascoste, nostre e degli altri. Quando si capita su una voragine di un altro il compito è di chiuderla «nella speranza di portare tutto in pieno, raggiungendo al più presto la superficie, la terra ferma diciamo, le belle chiacchiere dei tempi di pace.». Si è tanto felici come aver «trovato l’apertura per entrare nell’universo».[…]L’universo si stringeva, mi faceva sentire le sue pareti, ma io non ero prigioniero, ero la sua anima, ero dentro, nel posto responsabile, dove si sanno le cose, in tiro come un differenziale, avrebbe detto Vale.». Fulvia e Franzi  e Matilde sono le voragini che il nostro fotografo riempie e come foto riuscite vorrebbe fossero vere per sempre. In questo libro pensieri ed emozioni si trovano qua e là come «gonnelline celesti dell’inverno che lascia il suo corso e «il gelo se ne andò col suo vecchio pastrano.». Anche il tempo fa fatica a restare fermo in un pensiero solo come i «gruccioni» in settembre. Si ritrovano «altissimi sopra le colline, un numero sterminato, arrivati da tutte le parti». Partono per paesi lontani, «una volta arrivati tutti diventano vicini.».

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