Scoperta non è ancora la terra chiamata passato

Di Roberto Marconi, 2021

I ricordi se rimembranze poiché “le memorie / fitte alla gola / e se tendi la mano / quasi le tocchi” sono l’anello di congiunzione che, fondamentalmente, raccolgono in sé tutte le tematiche care di chi scrive le parole tra le virgole. Chiamiamoli per confonderli mementi allora affiorano per esclusione quando si principiano nei versi. Con doviziosa cura, che vuole la stesura sul foglio (tecnologia cara al poeta), questi tipici pensieri si approssimano alla realtà con diniego per affermare una verità inerme. Possiamo dirle immagini del trascorso che s’aggiustano per difetto/per eccesso, rivelando che il passato “magari non esiste, / non sai dove” si sia situato e solo i passi e gli sguardi affettuosi lo ripensano a ogni sfoglio di carta. Non c’è niente da fare Umberto Piersanti dà il meglio di sé quando scruta incessantemente al passato (I luoghi persi docet, come ancora prima Leopardi insegna), il presente lo è meno quando è troppo vicino.

Un libro di poesia diviene soprattutto di silenzi (tempo per farlo e altrettanto per dimenticarlo nella mente) e ovvio di parole, poche, che rimarranno; con Piersanti si contempla la poesia della natura che riflette l’essere umano. Ogni verso breve (benché lunga sia la confessione) tenta di scombinare le carte del tempo per scommettere un’altra chance della durata. Quale migliore escamotage allora che accingersi a un viaggio? Un itinerario ad esempio nelle Marche tra passato, Urbino, e presente, Civitanova; perfino se la voce travalica i confini in testa c’è sempre la vigente patria poetica.

Se il passato è una terra remota, come recita una sezione di “Campi d’ostinato amore” (La nave di Teseo, 2020), allora il contemporaneo può essere una coltivazione di domande e quello che spunterà non saranno per forza risposte. Ormai il gioco delle contraddizioni e delle presunzioni impera nella vita ma nella poesia trova accoglienza. Si reclama di sapere quello che agli altri non è dato, per poi perdersi nella declamazione silenziosa che le parole sanno fare e che estranei danno per scontato. Ma questo già rientra nella teoria dei giochi di Callois.

Divise in elaborati e sfide, titoli e spazi, ogni opera dell’autore (naturalizzato nelle argille azzurre civitanovesi, ora ancor più piantato con un occhio al mare) ingaggia un continuo ragionamento sul paesaggio che, fatalmente, incontra quello umano e nel passaggio dalle pagine alle presentazioni pubbliche trova un vitale riscontro sostanziale. Piersanti si nutre di colloqui, ascolta e riproduce, si rivolge alle forme che conserva nella mente in un tu che dà ossigeno. Ogni volta il verso si fa presto a capo, nell’insieme è una prosa molto poetica che compensa, nel respiro (un soffio per ogni riga), la sedimentazione delle esperienze e dall’altra parte la povertà dei luoghi s’arricchisce. Le soste dirigono una possibile ripresa nell’abbondanza, sempre un invito a soffermarci nella contemplazione. Se la forma delle ultime raccolte di Caproni assumeva un procedimento addirittura quasi da dispensa delle parole (sorta di kenotica scarnificazione alla ricerca dell’essenziale/esistenziale), qui il cuore della memoria si batte e cede e si ripete per trovare una forma di collocazione tra vissuto/presente.

La verticalità dei versi più imposta in questo manuale della reminiscenza risalta le radici per non perdersi, le soventi reiterazioni fanno concentricità al discorso e richiamano la sintonia. Scrivevo in precedenza che questa perpendicolarità corrispondeva all’entrata in scena di Jacopo, il figlio. Irruenza felpata che ora Umberto vive di più, avendo il giovane immortale vicino quotidianamente, a ricomporre una sorta di presepe laico insieme ad Annie, la compagna-moglie-madre. E se ogni giorno è una nascita al dolore e alla gioia questi testi vogliono un ritorno tanto atteso alla normalità, che non sarà tuttavia tale.

Ma la parola è il sollievo dell’aria. Buon esercizio alla lettura.


Dentro il Presente

quale millennio scorre
per le strade, nei caffè della sera
ragazzi dai jeans strappati,
i volti così incerti
e luminosi,
voi che sedete intorno
ai lunghissimi tavoli
per i vostri eterni aperitivi,
chiedo come ad altri
a voi così simili e lontani
chiese un poeta antico e forestiero?

anche questo è tempo
dove parlare d’alberi
appare un delitto
perché su troppe stragi
comporta il silenzio?
Forse, ma tra Selve odorose
troppo tempo hai trascorso
e il loro verde sapore
t’è entrato per la gola
giù nel sangue,
una diversa era
ti ha abitato

mentre guardi il Carpegna
annuvolato, passi lento
tra ornelli e ginepri,
da forestiero cammini
dentro il Presente

luglio 2018

Nota 1 : chiese un poeta antico e forestiero: si allude a Boris Pasternak
Nota 2: dove parlare d’alberi sarebbe un delitto: è un chiaro riferimento a Bertold Brecht

 

Dentro il duomo di Parma

no, non ce l’hai fatta
a salire sull’altare,
non c’era un passamano
per appoggiarsi,
solo di lì si vede
la gran cupola
con le Figure immense
tese al cielo,
il piede non ti regge
su per i greppi,
il piede non ti regge
negli scalini,
a quest’età le ossa
non hanno mai perdonato
la tua razza

acciacchi, una parola
adatta ai vecchi,
e non troppo cruda,
colma di comprensione,
quasi piana,
ma solo fino a ieri,
ora non basta,
salgono gli altri,
tutti, così leggeri,
tu d’intorno t’aggiri,
tocchi i gradini
e poi ritiri il piede,
no, non osi

dopo, hai camminato
piano lungo il Parma,
un filo, appena un filo
d’acqua nella conca vasta
e c’erano giunchiglie allineate
coi fiori delle bisce,
blu, dagli acini serrati,
li trovi anche nei greppi
a fine aprile,
scandivano il cammino
teneramente

laggiù, nel greto,
appena sopra l’acqua
due adolescenti sospesi
ed abbracciati,
lei con la minigonna
un po’ rialzata
e una nuvola sopra
esatta e chiara

e pensi ai sedici anni
sui torrioni,
a un’altra gonna azzurra,
a un’altra nube

Maggio 2019


Rubabandiera

no, non con la gonna bianca
magari a pieghe fitte
il nastro azzurro di quegli anni
remoti,
remoti più d’ogni altra
immagine e vicenda,
ora solo ombre,
ombre le più sfocate
e sperse,
ma così morbide
e tenaci nella mente,
stava lei,
la forestiera,
dritta e stagliata
sulle torri d’Urbino
e la pineta,
con i neri calzoni
la cinta arancio

non guardo il fazzoletto,
non la raggiungo,
ma guardo lei,
lei che lo strappa
e fugge,
la più veloce,
scompare dentro il quadro
fuori dei giorni

Ottobre 2016

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