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Infanzia, eterna epifania
Il nuovo libro di Umberto Piersanti (Campi d’ostinato amore, La nave di Teseo, 2020) è complesso, elegante, speciale. Il filo conduttore che lega indissolubilmente tutte le sezioni (Il passato è una terra remota, Jacopo, In una selva separata, Vicende, L’età breve, Primavera bugiarda) rendendole un corpo unico e solido, è il mondo delle Cesane, che ancora una volta alimenta l’ispirazione del poeta e la sua passione per la vita. Passione per la vita che questi versi rendono perfettamente:
era l’ora perfetta, / luminosa, / luminosi quei due/ lungo la strada
Rispetto alle raccolte precedenti qui è molto più forte la presenza del tema dell’infanzia, rivissuta attraverso una tensione costante, veicolata da epifanie molto diverse da quelle di un preromantico inglese come William Wordsworth, che ricercava un’armoniosa quiete, una tranquillità del cuore. Numerose sono le immagini che illustrano il mondo della natura, descritta con dovizia di particolari, dai fiori con i loro colori agli alberi, dagli insetti agli animali che popolano i boschi. Si tratta di una bellezza di tipo assoluto, ma non viene concessa alcuna possibilità a tentazioni di tipo ecologista, dalle quali Piersanti si è sempre mantenuto ben lontano. A volte, piuttosto, la natura diventa una madre spietata:
[….]
ho visto
il falco in volo
con la serpe
trafitta nella gola
dai curvi artigli,
l’estremo pigolio dell’uccelletto
che la biscia verdastra
afferra e ingoia,
[….]
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Tagged campi d'ostinato amore, emanuela capodarco, poesia, umberto piersanti
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L’immensa normalità di Vittorio Cozzoli
Vittorio Cozzoli, L’immensa normalità (Il Robot Adorabile Edizioni)

Foto di Mint Miller da Pixabay
L’esperienza di Vittorio Cozzoli si muove da sempre su un doppio binario: da una parte la sua lettura e l’approfondimento dell’opera di Dante (è, senza dubbio, uno dei nostri più accreditati dantisti), dall’altra la sua scrittura in versi personalissima e originale, nella convinzione che l’Italia di oggi abbia bisogno di poesia nuova “perché quella che spesso si legge è poca cosa prima di tutto per la ragione che sembra poca cosa quello in cui chi scrive crede”, e poi dal punto di vista della lingua, fatta scendere ormai troppo spesso sotto il livello di guardia.
Per Cozzoli occorrono esempi alti, anche stilisticamente, perché lo stile è segno di qualità-non-retorica, e occorre resistere a un minimalismo della quotidianità che non vede più in là del proprio naso e avere coraggio profetico, ricordando che la poesia ha radici che la lingua stessa non può più a lungo emarginare o ignorare. È insomma ciò che l’autore pensa e sostiene da anni: che la poesia debba portare o ri-portare ad altro di più importante, di più essenziale, al di là del puro recinto letterario, e che sia una vera pratica esoterica.
Scoperta non è ancora la terra chiamata passato
Di Roberto Marconi, 2021
I ricordi se rimembranze poiché “le memorie / fitte alla gola / e se tendi la mano / quasi le tocchi” sono l’anello di congiunzione che, fondamentalmente, raccolgono in sé tutte le tematiche care di chi scrive le parole tra le virgole. Chiamiamoli per confonderli mementi allora affiorano per esclusione quando si principiano nei versi. Con doviziosa cura, che vuole la stesura sul foglio (tecnologia cara al poeta), questi tipici pensieri si approssimano alla realtà con diniego per affermare una verità inerme. Possiamo dirle immagini del trascorso che s’aggiustano per difetto/per eccesso, rivelando che il passato “magari non esiste, / non sai dove” si sia situato e solo i passi e gli sguardi affettuosi lo ripensano a ogni sfoglio di carta. Non c’è niente da fare Umberto Piersanti dà il meglio di sé quando scruta incessantemente al passato (I luoghi persi docet, come ancora prima Leopardi insegna), il presente lo è meno quando è troppo vicino.
Piccolo taccuino occasionale: storia di un titolo
Ogni poeta ha la sua isola del tesoro, un luogo in cui seppellisce le suggestioni che offrono la vita e l’altrui poesia, per poi presentarle in forma di parole sul palcoscenico del mondo. Tali tesori inaspettati si palesano spesso nello scorrere del vivere quotidiano, ad esempio nel dormiveglia, o nel gesto meccanico della guida. Ospiti inopportuni, a volte, benché graditi. Urge allora, a portata di mano, una sorta di retino per acchiappare quei pensieri che altrimenti volerebbero altrove, persi nel nulla. E quindi ben vengano quaderni, quadernini, agende, fogli sparsi, scatole della pizza fumante che sta andando verso casa. Oppure, taccuini.
Piccolo taccuino occasionale è, appunto, il titolo della terza raccolta poetica di Davide Zizza, pubblicata dall’Editore Ensemble di Roma.
Umberto Piersanti, Campi d’ostinato amore
di Luca Nicoletti
Campi d’ostinato amore: l’impressione, il sentimento immediato, suscitato da una primissima lettura di alcune poesie di Umberto Piersanti, rese note poco prima della pubblicazione dell’ultimo libro, era già quella di uno stato di grazia. Condizione inseguita e auspicata da ogni poeta, ma concessa con estrema parsimonia dagli dei che attengono alla creazione poetica. E i deserti campi misurati da Piersanti, richiamati da un titolo invero molto bello, appaiono attraversati sì in pensosa solitudine, ma non percorrendo un ozioso movimento di ritorno sugli stessi passi. Sono attraversati, piuttosto, seguendo una direzione felicemente delineata, mutante ma ininterrotta come una “calviniana” spada del sole, orientata nella notte da costellazioni capaci di comprendere un intero cammino esistenziale e di ricerca poetica.
Se lo sguardo è destino, il rito dell’incontro ripetuto, l’incontro improntato allo sguardo e all’ascolto, può creare le condizioni propizie per uno scambio empatico tra essere umano e natura, fra soggetto e oggetto, fra io e mondo. Quando si realizza questa intimità, siamo portati a dubitare dell’alterità stessa del luogo, della natura rispetto a noi, al nostro pensiero, alla nostra mente. La forma di ogni elemento naturale sembra rimandare a qualcos’altro, qualcosa di cui eravamo parte. E i segni disseminati sul territorio ci appaiono come tracce della nostra memoria, di noi stessi. Piersanti persegue, attraverso la descrizione e la nominazione esatta, precisa, quasi ossessiva delle piante, dei fiori e degli animali, il portato di un senso originario. Nel luogo elettivo delle Cesane, la campagna marchigiana degli altipiani vicino a Urbino, può svelarsi l’intersecazione fra mito e destino personale. Così il poeta, nella sincronicità dei ricordi che riaccadono senza vincoli di connessione causale, libera il luogo, e se stesso, dalla tirannia del presente (“da forestiero cammini/dentro il Presente”), e richiama i momenti vissuti dal padre soldato, dalla madre, dai nonni, e da una serie di figure reali ed emblematiche (“una diversa era/ti ha abitato”). La natura selvatica indagata con ostinazione è sì ossessione, ma anche alimento inesauribile della scaturigine creativa. Piersanti disegna la sua mitografia, richiama e ricompone la memoria, quasi mosso dall’interrogativo che Jung pose a se stesso: qual è il tuo mito, quello in cui vivi? La vicenda personale si innesta in uno spazio atemporale, attraversato dalle vicende di chi ha vissuto in un tempo che precede. Allo stesso modo il paesaggio collinare dell’Appennino, il segno onnipresente senza inizio né fine, dirige il pensiero oltre il piccolo universo locale, compensa la marginalità del luogo nella consapevolezza di un’appartenenza storica e mitica, prima ancora che geografica.
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Recensione di Campi d’ostinato amore
Campi d’ostinato amore (ed. La Nave di Teseo, Milano 2020)
Forse mai un titolo è stato più indovinato di quello del più recente libro di Umberto Piersanti Campi d’ostinato amore, pubblicato dalla casa editrice La nave di Teseo ed uscito nel mese di novembre del 2020. L’amore, infatti, inteso quale pienezza di affettività, di emozioni, pervade ogni singola lirica di questa raccolta in armoniosa unitarietà. Abbandonate le giovanili lotte ideologiche, le fughe alla ricerca dell’attimo perfetto e la lotta contro l’ineluttabile dispersione del tempo, l’autore si lascia rapire dall’affascinazione del proprio mondo memoriale: di un’infanzia felice e fatata, di quella calda nicchia, simile ad un Presepe, non a caso i genitori avevano “quei nomi immensi/ del Vangelo”, cui rifugiarsi nel dolore. L’infanzia è certamente tra i ricordi l’età più tenace, che quasi ossessiona il poeta: “terra di memorie/ l’età che s’inoltra, / di volti che s’affollano/ e vicende”. Un afflato fiabesco permea da sempre la poesia di Piersanti, afflato che non elude il riemergere di memorie drammatiche, legate alla Seconda guerra mondiale, che lo hanno visto bambino: “dalla marina salgono/ i signori del ferro/ e del fuoco/ con gli elmi calati, / tu fuori dalla Storia/ nell’abbraccio del padre/ solo e felice.”
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Tagged campi d'ostinato amore, poesia, raffaella bettiol, umberto piersanti
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Delle nostre immagini di Costantino Turchi
Recensione di Mattia Caponi
È da non molto uscito per Arcipelago itaca Delle nostre immagini (poesie 2014-2018). Questa opera d’esordio di Costantino Turchi, compatta e strutturata, mostra un modo di fare poesia consapevole e ponderata. Tanto che le eco montaliane, giustamente sottolineate da Umberto Piersanti in prefazione, emergono a conferma della capacità prosodica e della sicurezza di prospettiva (ll paguro, I, p. 23):
Andremo una mattina sulla spiaggia
ancora nuda dei bagnanti. Allora
vedremo assieme la selvaggia vita
dei sassi brulicanti
E le figure femminili, presenti e ricorrenti, si mostrano spesso in distanza, come un’irraggiungibile Esterina «in pantaloni e reggiseno / benedetta dal fiume / […] / che scorre con lei completo» (p. 31). Ma la novità di Turchi non è l’ossificazione di una voce poetica (ma resta un pregio). Il suo deciso sguardo, prendendo le mosse dall’asciutta schiera che giunge appunto a Montale e proseguendo, si insinua nella realtà e ne ricolloca i caratteri in netti tocchi. Le quattro sezioni di cui si compone il libro mostrano il «viaggio attorno» a quattro camere; ne rompono gli indugi cercando di sfociare ognuna nella successiva; si inceppano e ripartono per altra via come da una strada murata. Un andamento fitomorfo, annodato e lieve, che si dimostra attento alle particolarità (L’edera, p.33):
[…]
Frutta il limite umano la caduta
libera dai terrazzi aperti
lungo le pareti dei vicoli
pesti da mortali passi.
L’edera che mi ha portato ramifica,
ha messo radici nel terriccio,
da sola si sdoppia e moltiplica
geometrica nel tempo spiccio.
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Recensione di Foglie altrove
Michele Paoletti, Foglie altrove
Arcipelago Itaca 2020
Nelle poesie di Foglie altrove, il dato percettivo-sensoriale è integrato a fondamento del processo mnemonico atto a ricostruire l’altrove della parola. Attraverso una narrazione piana e lineare, Paoletti ripercorre le trame degli eventi per individuarne la radice profonda, quella dell’infanzia che, grazie alla mediazione del canto, si ripete ancora, in un altro tempo. E infatti, Maria Grazia Calandrone, nella prefazione, osserva:
E allora il fiume è «di carta stagnola» e «le montagne sembrano sagome dure, / cartone tagliato da mani piccine/usando la scatola del panettone». Paesaggio da presepe che è, insieme, finzione e introduzione all’infanzia, ovvero al sentimento del tempo, alla perdita e allo slancio – anche malinconico- verso un indefinito luminoso che sarà (forse ormai è) questa età adulta, impastata al tempo e alle cose come un minerale, che pure brilla, soprattutto quando cede il passo all’immobilità di un’altra infanzia. Non più memoria, adesso, ma infanzia che si ripete in un altro corpo, nella «parte di me che da me già si separa» e fa scoprire che l’infanzia non ha lingua, se non quella del corpo, ma ha voce, «tutte le voci del mondo».