I fatti di Colonia e l’idiozia del politicamente corretto

Umberto Piersanti

C’è qualcosa di peggio dello strumentalizzare i fatti e misfatti di Colonia da parte dei populismi vari, è il sottovalutarli e derubricarli ad atti di comune teppismo. Non è casuale che gli aggressori fossero pressoché tutti islamici, maghrebini e del medioriente, anche se l’inerte polizia tedesca ha potuto denunciare un americano, due tedeschi e un serbo. Come hanno molto bene scritto Pier Luigi Battista e Aldo Cazzullo sul “Corriere della Sera” si è trattato di una vera e propria aggressione culturale. Non nel senso che era stata studiata, magari a tavolino, un’azione concertata per offendere le donne occidentali e i loro costumi, ma era un modo di vivere ed essere del Paese ospite che veniva rifiutato ed oltraggiato. Per questi ragazzi islamici camminare sole di notte, avere pantaloni aderenti o minigonne, abbracciarsi e baciarsi per strada, significava che le donne occidentali sono sostanzialmente delle prostitute verso le quali è possibile operare ogni abuso. Atteggiamenti bullisti e delinquenziali sono presenti è vero anche nel maschio europeo: ma qui non si trattava di un gruppo di ubriachi e di violenti, ma di migliaia di arabi e nordafricani che si credevano autorizzati alla grande “caccia”. Per loro quelle donne avrebbero dovuto rimanere a casa o uscire solo se in vesti dimesse, preferibilmente con il volto coperto e accompagnate dai maschi di famiglia. Fa specie ascoltare un uomo tutto sommato intelligente come Marco Travaglio ripetere come un mantra “… qualche delinquentucolo e qualche stupratore c’è dovunque nel mondo”.

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Santoro Anno zero: tra livore e squallore

Umberto Piersanti

Nessuno pretende da Santoro un giornalismo all’inglese, una comunicazione per quanto possibile “oggettiva”, ma la puntata di Anno zero andata in onda giovedì 18 giugno su La7 ha superato ogni limite di scorrettezza e di faziosità. All’inizio il tribuno ha fatto una lunga concione risoltasi una apologia di se stesso: mai aveva sbagliato il corso delle cose, l’andamento della storia. Levato il fatto che si potrebbe ricordare la sua appartenenza giovanile ai gruppi maoisti, l’adesione entusiasta a quella rivoluzione culturale che secondo il Ministero degli interni cinese ha fatto circa 70 milioni di morti, in maniera diretta e indiretta, anche il rivendicare la denuncia dei bombardamenti alleati sulla Serbia non teneva conto della precedente strage di Srebrenica, peggiore della storia europea dopo la Seconda guerra mondiale.

L’immagine di Renzi riproposta nel teleschermo era sempre la più ridicola e la più abnorme possibile: già con quella immagine si voleva pesantemente condizionare la percezione degli spettatori. Inoltre mancava una qualsiasi voce in difesa del premier. Si trattava dunque di una personale crociata piena di livore e d’odio che non rimandava a una critica, anche la più feroce, ma si limitava allo sberleffo e all’ingiuria.

Il momento più assurdo è stato, però, il siparietto tra Travaglio ed una sua amica. Si trattava di ripercorrere ed accostare momenti salienti della parabola mussoliniana alle attuali vicende renziane. Una banale corsa sugli sci del premier risultava dunque l’equivalente della battaglia del grano con Mussolini a torso nudo che troneggiava sulla macchina da battere. Un discorso politico magari incentrato sulla critica alle opposizioni veniva accostato niente meno che alla dichiarazione di guerra mussoliniana del 10 giungo 1940 alla Francia e alla Gran Bretagna.

Travaglio accompagnava le immagini con commenti feroci: quanto piace a costui giocare a fare il Saint-Just nostrano! Ma tutti sappiamo che certi momenti e personaggi storici una volta che vengono ripresentati in forme analoghe in altri momenti e situazioni, passano dalla tragedia alla commedia.

Nessuno intende discutere il diritto alla critica anche la più violenta, ma una trasmissione rivolta a un grande pubblico e che non si esaurisce in una dimensione di satira, ha l’assoluto dovere di proporre una qualche pluralità di voci e di interpretazioni.

Il discorso qui si fa culturale e interessa la sociologia della comunicazione. Con questa puntata Santoro ha portato all’apice quei programmi che si basano sull’urlo e l’invettiva, quei programmi che fanno delle personali idiosincrasie del conduttore l’elemento cardine del discorso.

Altre volte avevamo visto la faziosità di Santoro, ma l’intelligenza e la capacità di comunicare in qualche modo avevano migliorato il nostro giudizio. Un Santoro invecchiato e rancoroso, autoritario e violento, officiato dal puritano e fanatico Travaglio, rappresenta quanto oggi c’è di peggio (ma forse la “Gabbia” di Paragone resta insuperabile) nell’attuale comunicazione sociale e politica italiana.

Umberto Piersanti

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Il terrorismo islamico e il politicamente corretto

Umberto Piersanti

Certamente vi sono state posizioni estreme e intolleranti nei confronti dell’Islam durante e dopo i gravissimi fatti di Parigi. Ben più massiccia però è stata la dose del politicamente corretto che ci hanno propinato i giornali ma soprattutto la televisione.

Vorrei provare a fare un elenco dei luoghi comuni, delle banalità, delle sciocchezze che il politicamente corretto ha espresso in questi giorni.

1) Non si può parlare di terrorismo islamico ma solo di terrorismo. I vignettisti sono stati uccisi non da un generico terrorismo, ma da terroristi islamici che volevano vendicare l’offesa al profeta Maometto. Dalle Due Torri in poi, ma ancor prima direi dalla guerra civile in Algeria, ci sono stati massacri e attentati continui in nome dell’Islam. Certo, non tutti gli islamici sono terroristi, anzi riteniamo che la grande maggioranza di loro non lo sia. Tuttavia qui non si tratta di poche decine di persone, ma di migliaia e migliaia perfino giunti alla creazione di un vero e proprio califfato islamico basato sul terrorismo in quanto tale. Una corrente di pensiero radicale, di ideologia wahabita è stata il supporto teorico che ha promosso e indirizzato gran parte di questi atti terroristici. Stati giudicati moderati come l’Arabia Saudita basano la loro vita su questa interpretazione integralista e medievale della fede coranica. Arabia Saudita ed Emirati arabi hanno mantenuto un atteggiamento ambiguo sconfessando Al-Qaeda e Isis, ma nello stesso tempo aiutandoli con armi e denaro. Tra le idiozie più totali c’è stato il paragone fatto della deputata del Pd Lia Quartapelle tra il terrorismo islamico e terrorismo occidentale-cristiano, basandosi sull’impresa di un folle norvegese, Anders Behring Breivik, che nel 2011 aveva massacrato 77 persone. Questo paragone è stato comunque ripreso anche da Paolo Pagliaro, solitamente più intelligente, in un programma della Lilli Gruber, forse il peggiore della sua carriera. Come si fa a mettere l’azione di un criminale, tra l’altro certamente non mosso da una visione religiosa ma da un credo sostanzialmente nazista, con un’infinità di atti terroristici di matrice islamica in ogni angolo del globo? Dunque sicuramente c’è un terrorismo islamico diffuso, praticato e sostenuto da molti, che rappresenta una certa fetta di quell’universo.

2) Tutto avviene per motivi economici, geopolitici e per il petrolio. Lucia Annunziata afferma che si tratta di uno scontro esclusivamente politico, tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita. Questo scontro è reale, ma non è semplicemente politico bensì è un conflitto di ordine religioso che da sempre divide le due grandi anime dell’Islam. Secoli fa le guerre tra cattolici e protestanti ebbero anche un carattere religioso.

Una vecchia e superata impostazione marxista o pseudo tale ha fatto dell’economia e dei suoi immediati derivati politici, l’unico elemento dello scontro tra i popoli. Le religioni sono sempre state considerate solo come elementi di comodo di cui ci si è sempre serviti per i propri fini economici e politici. Le guerre azteche invece servivano soprattutto a catturare un grande numero di prigionieri da sacrificare perché il sole potesse ritornare a splendere ogni giorno. Questo è sicuramente un caso estremo. Possiamo però ricordare che l’espansionismo islamico del periodo immediatamente successivo alla morte di Maometto si è avuto attraverso la jihad, una guerra di conquista che andava dall’India alla Spagna. E la prima crociata è stata fatta anche soprattutto per motivi religiosi che poi si sono intrecciati a interessi di ordine politico ed economico. Le religioni dunque possono essere causa di guerra e di contrasto che vanno anche al di là dei messaggi di pace enunciati magari al loro sorgere.

3) L’Islam moderato non è diverso dal Cristianesimo. È vero c’è stato un tempo in cui il califfo di Baghdad Harun al-Rashid era molto più tollerante di Carlo Magno nei confronti degli infedeli. La storia cristiana però è stata attraversata dall’Umanesimo, dall’Illuminismo, dal Liberalismo. Chi ha parlato di libertà per ciascuno di professare le proprie fedi non è stato per primo un santo o un teologo, ma dei pensatori “libertini”. Valga per tutti quel Voltaire, dalla vita scandalosa, che pure asseriva che era meglio farsi tagliare un braccio che impedire a qualcuno di esprime un posizione contraria alla propria. Nell’Islam il potere politico e quello religioso sono stati sempre uniti: Maometto era anche un capo politico mentre Gesù distingueva tra dare a Dio quel che era di Dio e tra dare a Cesare quel che era di Cesare.

Il moderatismo islamico non va confuso con quello europeo, anche se non va confuso con l’islamismo radicale. Ampi settori del mondo islamico hanno criticato anche il nuovo numero di Charlie Hebdo, che pure si è presentato in una versione molto meno dissacrante. Questa possibilità di critica è naturalmente un diritto di tutti e anche degli islamici che non apprezzano questo tipo di vignette. Il rischio è che però parta una qualche risposta violenta intesa a distruggere la libertà di opinione.

4) L’aggressore deve essere fermato, ma senza ricorrere alla forza, oppure richiedendo un intervento internazionale. È la posizione ad esempio di Papa Francesco. Ma senza l’aiuto occidentale avrebbero potuto resistere i curdi ai tagliagole dell’Isis? E se si aspettava l’intervento dell’Onu che non si sapeva né quanto poteva arrivare, né se poteva arrivare, cosa sarebbe stato dei cristiani e degli yazidi che solo i curdi stavano difendendo? Formigli ha preso una coraggiosa posizione a difesa dei curdi, ma non ha sprecato quasi nessuna parola sul determinante aiuto occidentale.

Bisogna cercare comunque l’appoggio dell’Islam moderato anche essendo consapevoli che la sua percezione del mondo e della società è diversa dalla nostra. Non bisogna però tacere il fatto che il pericolo che ci minaccia non è opera di pochi terroristi, ma di una corrente di pensiero e d’azione che riguarda un numero notevole di individui. Senza contare quella zona grigia che non è terrorista ma che comunque esprime simpatia o perlomeno indulgenza nei confronti del terrorismo.

Umberto Piersanti

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Come fermare l’aggressore: l’Isis, Papa Francesco e altro

Umberto Piersanti

L’avanzata del califfato islamico è stata bloccata dalla strenua resistenza dei curdi. Senza l’aiuto, però, determinante dei bombardamenti americani ed alleati nessuno avrebbe potuto arrestare la marcia trionfale degli assassini incappucciati. Cristiani e yazidi sarebbero stati totalmente massacrati. Papa Francesco è intervenuto sulla necessità di fermare l’aggressore, ma ha condannato l’intervento di un singolo Stato. Doveva essere la Comunità Internazionale ad agire. Forse il Papa non poteva dire altro che questo, ma un dubbio sorge immediato e spontaneo: se si aspettava l’intervento dell’Onu quanto tempo sarebbe stato necessario, ammesso poi che l’Onu l’avrebbe decretato? E nel frattempo chi avrebbe mai fermato i tagliagole e cosa sarebbe successo dei cristiani, degli yazidi, degli sciiti e di tutti i musulmani che non accettavano la dottrina e la prassi dell’Isis? Stupisce il fatto che la stampa, sia pure con tutto il rispetto dovuto a questo grande Papa, non lo abbia fatto minimamente notare. Papa Francesco è anche intervenuto sulla possibilità o meno di dialogare con l’Isis: certo ha tenuto aperta una porta e non poteva non farlo, ma ha indicato questa possibilità come estremamente remota, pressoché impossibile: un discorso di principio dunque quasi impossibile da realizzare.

Ad Anno Uno condotto da Giulia Innocenzi erano presenti due pensatori cattolici: Antonio Socci e padre Alex Zanottelli. Socci, di cui non ho quasi mai condiviso le opinioni, si è espresso con una libertà di giudizio persino di fronte alle espressioni del Papa che mi ha molto favorevolmente impressionato. Il suo è stato un discorso concreto, preciso e basato su dati certi e verificabili. Padre Alex Zanotelli è un Pietro l’eremita alla rovescio, parla come un invasato che attribuisce tutte le colpe umane alla nefasta opera dell’Occidente. Ha tirato fuori le crociate senza ricordare, però, che l’Islam secoli prima si era affermato con la spada e la sua diffusione dall’India alla Spagna doveva molto alla spada e alla Jihad. Gli scontri tra sunniti e sciiti non li ha certamente inventati l’Occidente, così come quelli tra gli induisti e i musulmani: si sapeva benissimo che quando la Gran Bretagna si sarebbe ritirata dal sub-continente indiano lo scontro tra le due confessioni sarebbe stato terribile. Altro luogo comune acclamato a gran voce dalla turba dei ragazzini e delle ragazzine tanto gentili d’aspetto quanto rozzi ed incolti, la questione delle armi date dall’Occidente. La stragrande maggioranza delle armi in mano all’Isis, ad Hamas e altri, è di origine russa e cinese. Il resto è stato comprato attraverso procedimenti criminali e mafiosi con il denaro ricevuto da alcuni governi e da varie istituzioni arabe o incassato attraverso il pagamento per la liberazione degli ostaggi europei. Va inoltre ricordato a padre Zanotelli che la tratta degli schiavi neri fatta dagli arabi è durata ancora più a lungo di quella ignobile praticata dagli Stati Europei. Neanche la strage dei bambini in Pakistan ha smosso l’ineffabile Vauro, esempio di uno stalinismo ormai macchiettistico: certo ha condannato il terrorismo, ma con accenti sbrigativi e solo dopo la classica e scontata sfuriata contro tutti i mali dell’Occidente.

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Umberto Piersanti su “Il giovane favoloso” di Mario Martone

Il nostro Umberto Piersanti ha visto in anteprima assoluta il film di Mario Martone “Il giovane favoloso” sulla vita del poeta di Recanati Giacomo Leopardi, interpretato da Elio Germano. Il film è in questi giorni in concorso alla 71^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato accolto con entusiasmo da critica e pubblico. Riportiamo qui di seguito la recensione che Piersanti ha scritto per Il Resto del Carlino, uscita il 22 agosto 2014.

Elio Germano è Giacomo Leopardi nel film di Mario Martone "Il giovane favoloso"

Quel “giovane meraviglioso” poeta. Martone esalta il genio di Leopardi

Dare voce alla poesia di Leopardi in uno spazio dominato dalle immagini com’è la pellicola, risultava un’impresa veramente ardua. Eppure Elio Germano è riuscito a farlo: i versi dell’Infinito calavano solenni e misurati in un paesaggio che aveva certamente evitato le costruzioni moderne, ma non si era neppure rifugiato in una dimensione idilliaca. Ed uso questo termine secondo l’antica tradizione, non certo nel senso nuovo che gli ha impresso il poeta di Recanati: una contemplazione stupita e dolorosa del cosmo. Anche i quadri d’attorno erano precisi ed intensi, lo sfumato riesce a dare quel senso di lontananza, quella poesia della memoria che era tipica di Giacomo.
“Il giovane favoloso” di Mario Martone è un film riuscito: nel panorama italiano, dominato dalla commedia più o meno becera, più o meno intelligente e garbata, un film drammatico come questo s’impone all’attenzione.

Il film non tratta solo la giovinezza del poeta, ma l’intero arco della sua vicenda. Quattro le ambientazioni fondamentali: Recanati, Firenze, Roma e Napoli. A mio parere, lo scenario recanatese è il più riuscito: Giacomo che gioca con Carlo e Paolina, lo studio matto e disperatissimo e tutta la vita del borgo, quello “zotico borgo” così odiato, ma anche così intensamente avvertito e raccontato. E poi la bellissima apparizione di Silvia che fila all’arcolaio intravista dal poeta dalla finestra. I pranzi composti e tediosi con la famiglia, le camminate solitarie.
Massimo Popolizio interpreta perfettamente la figura di Monaldo: il padre di Giacomo non era privo di spirito e intelligenza, ma troppo racchiuso dentro una corazza di perbenismo e filisteismo. La madre invece straordinariamente rappresentata nella sua durezza, nel suo rigido ed intransigente bigottismo.
Firenze è il momento in cui il mondo si apre alla conoscenza, in cui il rapporto con il mondo letterario diventa intenso e reale: ma anche qui il destino di Giacomo rimane quello di un appartato, di un solitario. Bene ha fatto Martone a non calcare troppo sul credo progressista di Leopardi quale era in tanta vulgata, marxista in particolare. Certo, Giacomo era lontano dalle idee di Monaldo e aveva una qualche forma di simpatia verso le nuove idee e il nuovo mondo. Potremmo però dire che il vero scontro del poeta era con quella dimensione di solitudine e di dolore che attanaglia la vita degli umani. Anche nella Ginestra c’era sì la “social catena”, ma veniva irriso che aveva una fiducia assoluta sia nel progresso che in una metafisica speranza di eternità.

Un personaggio veramente importante nel film è quello di Antonio Ranieri interpretato da Michele Riondino. Il regista Martone ce lo rappresenta dotato di un sentimento fortissimo di amicizia; è un uomo di grande generosità e di grande fascino. Non tutta la pubblicistica su Ranieri ce lo descriveva in questo modo, ma la scelta di Martone ha una sua coerenza.
Ben rappresentata anche la sorella di Ranieri, Paolina, interpretata da Isabella Ragonese. Certo, alcuni eccessi barocchi e troppo teatrali possono essere presenti: la gigantesca figura di pietra che dialoga con Leopardi nei panni dell’islandese delle Operette ha qualcosa di eccessivo quasi da effetto speciale. La scena del bordello napoletano è forse troppo carica e teatrale.

Dopo il video con Dustin Hoffman che leggeva l’Infinito, ancora una volta Giacomo Leopardi si presenta come il genio più rappresentativo delle nostre terre non solo in Italia, ma nel mondo.

Umberto Piersanti

Il trailer de Il giovane favoloso

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Il turpiloquio politico e non solo, uno squallore italiano

Umberto Piersanti

Negli anni della contestazione Amendola giunto ad Urbino era stato accolto dagli studenti del Movimento con questo coro: “Il Pci non è qui, lecca il culo alla Dc.”
Amendola dall’alto della sua statura fisica e morale non si scompose, li guardò, non proprio con disprezzo ma con un po’ di compassione e disgusto e disse: “Abbiamo già udito questo tipo di linguaggio, era quello degli squadristi fascisti del ’19”.

È vero, la violenza del linguaggio, il turpiloquio, l’offesa totale e sconsiderata denota una volontà di annientamento fisico e psichico dell’avversario, la volontà di non riconoscerne l’esistenza e di decretarne la fine. Questo modo di intendere la vita e la polis è sempre stato caratterizzante del pensiero politico autoritario, sia di destra che di sinistra. Usare un verbo come vivisezionare sia per quel che riguarda un animale, ma ancor più una persona anche la più negativa possibile, è indice di assoluta volgarità d’animo e di un atteggiamento violentemente autoritario. Chiamare mummie e cadaveri tutti gli avversari non è semplicemente una forma colorita del discorso, ma rimanda a un senso delle cose truce e negativo. Certo non è stato il primo Grillo ad usare il turpiloquio: in un articolo sul Resto del Carlino Sgarbi rivendicava la paternità di questo modo di esprimersi ed atteggiarsi. Ricordo una sera da Formigli nella quale Sgarbi aveva coperto di insulti gli altri e impedito ad un imprenditore di parlare. Formigli sembrava adirato, ma la volta dopo ha immediatamente richiamato il critico ferrarese. Vittorio Sgarbi ha costruito la sua fortuna sulla violenza e sull’insulto, sul paradosso elevato a sistema. Interveniva su tutto e tutti, anche nella storia e nell’economia dove sapeva poco o nulla. La sua invettiva contro l’euro non si basava minimamente su una conoscenza dei problemi; l’affermare che c’era più poesia in cinquant’anni di canzone italiana che in duecento anni nella nostra storia letteraria voleva dire solleticare l’ignoranza grassa e media del pubblico italiano per il quale i poeti sono figure nel migliore dei casi distanti altrimenti inutili e inconsistenti. Quando Sgarbi parlava di duecento anni metteva dunque nel conto anche Foscolo, Leopardi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Ungaretti, Montale, Saba e tanti altri? Davvero qualcuno può credere che nelle canzoni dei nostri anni ci sia più poesia che in tutti questi autori? Accanto al turpiloquio va segnalato un atteggiamento banalmente e vilmente trasgressivo ben sapendo di non incorrere in alcuna ritorsione. Obama e la Merkel hanno fatto la fila al Colosseo e a Pompei pagando il biglietto per loro e per la scorta. Sgarbi è abituato a giungere nella notte ai musei delle cittadine seguito da un codazzo di femmine in cerca di pubblicità e di fans urlanti e farsi aprire le porte: e i suoi desideri vengono spesso accolti nella speranza di acquisire un minimo di pubblicità televisiva.
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Gli ultrà: una razza di sub-umani

Gli ultrà: una razza di sub-umani
Tutto il calcio è colpevole

Umberto Piersanti

Ascoltavo la Santanchè che in televisione distingueva tra ultrà buoni e ultrà cattivi: non esistono ultrà buoni, esistono normali tifosi e un’ancora più normale pubblico appassionato di calcio.
Una profonda ipocrisia non solo della politica ma di molti commentatori è quella di indicare in poche decine l’universo violento che accompagna questo sport meraviglioso. I pullman che arrivano ogni volta allo stadio, in particolare quelli delle tifoserie meridionali, sono pieni di gente con mazze, bombe carta e ordigni simili. Se gli ultrà violenti fossero poche decine non riuscirebbero mai a mettere a soqquadro stadi e città intere. Del resto ne abbiamo avuto la prova nella maledetta partita Napoli-Fiorentina: è stato detto dalle autorità competenti che il rifiuto alle richieste della tifoseria napoletana avrebbe scatenato l’ira di cinquantamila persone. Non so se questa sia la cifra esatta, ma certamente i violenti non potevano ridursi a poche decine. In Italia c’è sempre la paura di andare contro consorterie numerose che possono rappresentare influenti bacini di voto. C’è un’ipocrisia costante nei commentatori sportivi e anche in molti intellettuali che consiste nel volere in tutti i modi circoscrivere la vastità del fenomeno. Del resto le leggi italiane somigliano tanto alle grida di manzoniana memoria, restano lettera morta e questo vale per tutti i governi di centro destra e di centro sinistra che si sono succeduti lungo gli anni. Dunque la prima e più grave colpa è quella della politica che non sorveglia affinché la legge sia applicata: se poi ci fosse bisogno di regole ancora più dure queste debbono essere approvate in tempi rapidi e applicate con estremo rigore e fermezza. Il discorso vale anche per questori e prefetti ed ancora di più per i giudici che in questo campo tendono ad essere di manica larga, ben sapendo che toccare il calcio in un paese dominato dai bar-sport e dai “canzonettari” risulta estremamente impopolare.
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Editoria oggi: il trionfo dell’effimero

Umberto Piersanti

C’è stato un tempo in cui i best seller erano opere di  Calvino, Elsa Morante, Cesare Pavese e altri, c’è stato un tempo in cui gli editor erano Vittorini e Sereni. Certo, anche questi editor commettevano i loro errori, basti pensare al rifiuto del Gattopardo. Tutto però avveniva in un quadro di attenzione e di rigore, lo sbaglio era dentro un calcolo delle probabilità ineliminabile. Anche il critico e l’editor più intelligente ha un setaccio in cui passano solo certi grani, magari numerosi, mai però tutti.

Oggi la situazione è completamente diversa: il genere domina incontrastato. Entrando in una libreria noi vediamo subito le cataste di best seller prevalentemente d’oltre oceano e tanti altri comparti dominati da un “tema”. Ecco l’horror, il thriller, il fantasy: i templari impazzano ovunque, le varie fini del mondo annunciate nelle più diverse copertine e magari evitate attraverso l’intervento dell’eroe di turno. E poi tanto Medioevo e tanto futuro mescolati assieme. La new age che impazza, i commissari che si moltiplicano. Senza dimenticare il sesso, soprattutto se raccontato al femminile: dai colpi di spazzola ai colori di varia tonalità, un sesso facile e consumistico, meglio se attraversato da una qualche perversione di tipo sadomaso, impazza presso il pubblico, anche e magari ancor più femminile.

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