Poesie di Sergio Doraldi

Pubblichiamo due poesie dell’autore Sergio Doraldi.

città vecchia senza luogo

assenti da quel che si vede
chiusi gli occhi torniamo a vagare
nei pensieri come nei sogni
stradine con selciato di ciottoli
solitarie dietro l’angolo ancora
una fontanella possiamo sentire
viottoli degli incerti pensieri
lontano dal traffico avvolti
in un orizzonte concluso
vecchie case di nebbia
incontri sperati
malìa per cui sfuggono
rampogna di gioventù non vissuta
e le facciate crepate dal peso
degli errori che scolorano in colpe
svaniscono come gli altri pensieri
con le catene di cause ed effetti
confini tra non essere e l’essere
tra i sogni e il veduto davvero
ma un po’ di porfido resta
per comporre la sola certezza
di quant’è invisibile dietro sfocate
leggi della natura, e mattoni
del sentimento del sacro, cemento
delle emozioni fuse a ragione
archi e cupole in alto a levare
accordati in costruzione coerente
di stanze con le finestre sul fuori
dove accogliere il prossimo
in ambienti di veduta illusoria
ma nei dettagli a racchiudere
un’idea della vita
del mondo all’esterno distante
perché trovino un senso
di là della seduzione del nulla
nel parlare oltre alle spesse barriere
con chi a quelle note risuona
nel ripensare i momenti
istantanei ma eterni
in altra percezione del tempo
che si vorrebbe ancora trovare
come il sapore di bocca
desiderata sopra ogni cosa
sorriso dai ricordi inseguito
tra malinconia e letizia sospeso
oltre l’orizzonte annebbiato
dietro alle pareti dissolto
mura adatte a racchiudere
un piccolo spazio al sicuro
dall’inganno del divenire
dove passi e voci risuonano
sorreggendo le arcate, invincibile
forza d’uno sguardo gentile
sogno luminoso sfuggente
e nulla lo può trattenere
in quelle povere stanze
a fatica murate sapendo
che non potranno durare

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La vita ulteriore di Antonio Prenna


LA VITA ULTERIORE

Oblio.
Una parola che suona bene,

come aprire un oblò

che si affaccia

sui buchi neri delle storie private.
Dimenticare il set.
Non usare colonne sonore.
Tornare a casa il più presto possibile.
Dimenticare le vele le vele le vele di Dino Campana.
Pensare piuttosto

alla sospensione del direttore d’orchestra,

prima di ordinare l’attacco dell’ouverture.
I palchi del teatro come tanti oblò.
Occhi attenti.
L’animo di ognuno pronto a commuoversi,

pur schernendosi per le lacrime che arriveranno ineluttabili,

causate semplicemente da quel meccanismo matematico

della combinazione di suoni,

melodie, colori e persino di sapori evocati.
Masticare solo dopo un po’,

quando il groppo in gola sarà sparito,

la polvere della strada,

per avviarsi lenti sulla via delle rimembranze.
Leggere in quei rari casi “Recueillement” di Baudelaire.
Tu esigevi la sera.
Eccola.
Vois se penchez les défuntes Années.
Guarda allora il Sole moribondo

addormentarsi sotto l’arco di un ponte.
Solo quando sarà il momento però,

non adesso che il sole è alto ancora.

Antonio Prenna

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Poesie di Marzia Dati

Albion

ritorno a te dopo un lungo viaggio
dove nuove tempeste e naufragi
mi risuonano dentro il sangue

venti colmi di pioggia e nuvole minacciose
lo hanno gravato di pesi appesi come l’albatros
all’albero maestro della mia nave

l’uragano sembra passato
le nuvole si sono liquefatte
nelle distese azzurre che ho solcato

c’è un porto sicuro che mi attende
e nell’attesa faccio di parole versi.

Risacca

Quello che mi chiedi
non mi è noto,
ancora.
Mi lascio andare
al moto
lento
e
costante
del
Mediterraneo,
che bagna il mio corpo
nell’agosto assolato.

La risacca
sembra confermare
il moto
perpetuo
del
dare
e
dell’avere
in un equilibrio
spesso non perfetto.

Mi abbandono
e abbandonandomi,
sono solo un frammento
delle leggi imperscrutabili
dell’universo.

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Poesie di Eliza Macadan

Eliza Macadan

Poesie di Eliza Macadan tratte da “Passi passati“, in uscita presso Edizioni Joker.

*

il falò incendia

l’orizzonte rimasto a bocca aperta

su lungomare della salute questa ragazza sa di donna

questa madre sa di amante

un delirio antico scompone movimenti

passi passati

questa danza sa di africa

le onde si fanno ponti

verso le origini i sessi sentono tamburi di guerra

la fame passa al pensiero dell’altra riva

 

gli  zingari non mi hanno mai portata via

con loro

eccomi qui brucio in un frame del falò

la notte balla ad occhi chiusi

come il presente

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Mulinello d’ali sul fuoco

di Rossella Frollà

Mulinello d’ali sul fuoco

Di un continente c’è l’ala feroce che avanza e quella lieve che sopraggiunge stremata e chiede aiuto. È un triste, duro, grave presagio. Ogni passo dell’umanità ne ha un altro silente accanto e spaventoso. Dal fondo di un’etica selvaggia e corrotta c’è un velo scuro in occidente. Chi soffia sul fuoco che ci stringe e aggiunge legna da ardere col sangue? Fuori da ogni schema le sentenze del terrore offrono l’atto di soffocare i pochi frutti del mondo e i passi corrotti dalle pepite d’oro scivolano nel male. In Occidente c’è un nuovo Don Chisciotte che cerca paesaggi e isole d’aria e sillabe sagge per gli umani. Con cura il dolore si riabilita e il volto sacro del mondo. Quel Don Chisciotte risuona nei bistrot, di stazione in stazione, negli stadi, nei teatri, nei metro. Il suo calvario si consuma. Deve esserci qualcosa d’altro in questa offerta sacrificale del mondo. Spasmi e contrazioni ci piovono addosso con lutti improvvisi. Deve esserci un senso a questo sale che piove sulle ferite. È fiamma e boscaglia, è guerra. E come in trance non abbiamo sentito il tuono che c’è già stato. Oltre il tempo il digiuno imposto al pensiero e alle menti scandisce la pulsione alla radice di questo modo di esistere che ci ammorba. Noi siamo il nuovo Don Chisciotte malato di cancro che con l’intrepido coraggio di chi sa va fino in fondo e porta il suo dolore come un altro volto sacro del mondo. E come nei lutti improvvisi per un prodigio concesso si resiste. Il tuono chiama a radunarsi nella felicità amara di sentirsi vicini, né vincitori né vinti, abbracciati nei momenti dell’assurdo a lasciare i rimorsi e a coltivare i sogni. «mulinello d’ali» sul fuoco.

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Una poesia di Antonio Prenna

Pubblichiamo una poesia di Antonio Prenna, dedicata ad un tragico evento della storia italiana di cui è ricorso il 52° anniversario lo scorso 9 ottobre.

Ricordo
così bene
l’ottobre 1963

#Vajont
adesso
è diventato
un hashtag

allora la parola
mi sembrava
sempre
uno schiaffo.

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Poesie di Giulia Orlandi

In Giardino d’Inverno – Prima Prova, pubblichiamo alcune poesie di Giulia Orlandi.

A TAVOLA

Vacui pensieri consumo alla mia tavola.
Il volto rivolto altrove,
aldilà del vetro smerigliato.
Osservo i commensali distratti dalla lussuria
di squallide viandanti.
Trangugio la mia pena,
mortifico il mio sguardo.
Membra penzolanti e inermi in un angolo della sala,
fingo gioia distratta.
Altro vino alla mia tavola
Altra amarezza nel mio calice.

DEA

Ti ammiro incredula,
lo sguardo acerbo dell’infante.
Un bagliore fulmineo mi scuote,
sei madonna del cinquecento
sei fiera amazzone
sei contemplazione silenziosa
sei desiderio taciuto.
Attendo fiduciosa i tuoi occhi,
mi lascio soffocare nel riflesso della vita.

IL CLOWN

Nascondo lo sguardo allo scherno dei passanti,
sono sul piedistallo,
attrice navigata per il godimento altrui.
Danzo e agito le mani,
parlo e canto melodie silenziose.
Pubblico distratto dal giudizio,
una moneta signori!
L’artista è al vostro servizio,
l’indifferenza è il mio riposo.

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Poesie inedite di Gemma Bracco

Pubblichiamo qui di seguito alcune poesie inedite di Gemma Bracco.

mattina banale nelle strade lucide di pioggia
e la scaletta sempre eguale
della vita
una nuova tonalità per la musica
una nuova piastrella nella mazzetta dei colori
un nuovo bulbo a richiamare la rinascita
poche cose sono rimaste a fondamenta
di un edificio ingigantito e pericolante
che perde pezzi sotto la spinta
dei picconi e delle intemperie
pochi pilastri a sorreggere un termitaio
che aggredisce le radici e sfarina la terra
già primavera batte in ritirata
e lascia la guerra già si è piegata
al compromesso e allo sconforto
già china il capo incoronato di corolle
alla protervia del presente
Ormai ogni tronco morto
non sa se sporgere verdi ciglia
a scrutare il nuovo e dichiararsi assente
per un anno forse più
restare in quarantena sospendersi
vivere all’interno sviluppare il tallo
e come nascosto in un rifugio antiaereo
attendere muto di tornare albero

 

una luce minima si può cogliere qui
da quando le parole sono tornate a trovarmi
da accumuli nebulosi tutti i giorni
piovono scarse gocce a dissetarmi
non è il Santo Graal ma il nutrimento minimo
che si concede ad ogni essere vivente
l’anestesia locale che toglie un gradiente
di dolore al sofferente
le parole entrano come un pettine
a ravviare pensieri aggrovigliati
e per quell’attimo che le boscaglie si diradano
può tornare l’armonia delle sfere
il sereno è riconquistato
si calma l’onda lunga dei giorni imbronciati
il sereno regna e resterà a suo piacere

 

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