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Appunti di un lettore su Cupo tempo gentile
Andrea è il luogo della contesa fra la potenza delle forze della tradizione e l’attrazione delle forze che vorrebbero radicalmente rompere con la tradizione. La natura, concepita da Andrea come eterna, è l’unica certezza sulla quale si posa e si riposa lo spirito, contemplativo, del giovane.
In questa contesa drammatica il protagonista, senza mai aderire definitivamente agli schemi proposti o imposti da altri, cercherà sempre di conservare il proprio spirito critico e la propria libertà individuale. Egli non solo sente di essere chiamato a dover fare una scelta, ma sente soprattutto la chiamata a scegliere in modo libero; a scegliere insomma con la propria testa.
Questa vocazione alla libertà individuale lo porterà prima, in veste di professore, a voler insegnare a pensare piuttosto che ad insegnare pensieri ed infine a rifiutare radicalmente ogni tentativo, soprattutto se violento, di imporre i propri pensieri all’altro.
Ad un certo punto del testo Andrea si definisce, non a caso, “illuminista”. Ed è proprio la parola “Illuminismo” che, in modo semplice e spontaneo, è assurta a parola-guida della mia lettura. Andrea, quando si definisce illuminista, di certo non può intendere l’”Illuminismo” come movimento culturale né tanto meno filosofico. Come già detto egli rifiuta ogni tipo di adesione.
Egli per Illuminismo non può che intendere il “processo di rischiaramento delle proprie idee” che gli consenta di approdare, in modo totalmente libero dai precetti altrui, ad una decisione.
Egli insomma, per Illuminismo, non può che intendere ciò che viene esplicitamente descritto da Kant in un articolo del 1784 apparso sulla rivista mensile berlinese “Berlinische Monatsschrift” con il titolo “Risposta alla domanda: cosa è l’Illuminismo?”.
L’articolo kantiano inizia con queste parole:
L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza – è dunque il motto dell’illuminismo.
di Giovanni Trevisan
Una poesia dal carcere
di Umberto Piersanti
Ho avuto un’esperienza emozionante nel carcere di Monte Acuto, ho presentato ai detenuti le mie poesie e ho dialogato con loro. Premetto: non sono un garantista totale, avrei votato contro l’indulto e l’amnistia. Ritengo che la certezza della pena, una pena non sproporzionata e non crudele da scontare in un carcere il più possibile dignitoso, sia un elemento fondante del sistema giudiziario. Detto questo posso tranquillamente affermare che quasi mai ho avuto un uditorio altrettanto attento e partecipe. Chi mi ascoltava ha anche rifiutato il quarto d’ora di intervallo, che significa anche un quarto d’ora in più d’aria, che gli spettava.
L’incontro di poeti, scrittori ed artisti con i detenuti, era stata un’iniziativa del Consiglio Regionale delle Marche in collaborazione con altri enti come il Garante dei diritti dei detenuti e l’Ombudsman delle Marche. Le poesie e i dipinti sono usciti nel volumetto Liberamente.
Ho scelto una poesia che mi sembra firmata da Curdistan E.D.G. (ma l’intreccio delle iniziali con cui sono firmati quadri e poesie risulta un po’ confuso).
In questi versi non c’è traccia di retorica. L’incontro con la madre nell’aldilà ricorda a suo modo una delle più intense poesie di Giuseppe Ungaretti, intitolata per l’appunto La madre. La gentilezza degli ultimi versi si ricollega alla grande tradizione orientale, in particolare persiana. Il velo e i capelli della madre ne sono il segno più evidente. Ho dunque postato questa poesia su Pelagos, mosso non da un impegno etico, se non in minima parte, ma dal valore del testo. Un testo bello e significativo che potrebbe stare benissimo in tante antologie nelle quali autori modesti, spesso amici del curatore, abbondano.
Bramo il pane di mia madre
Il caffè di mia madre
Il tocco di mia madre
Cresce in me l’infanzia
Giorno dopo giorno
Ed amo la mia vita…perché
Nell’ora della mia morte
Mi vergogno delle lacrime di mia
madre!
E se tornassi indietro un giorno
Prendi velo per tua ciglia
E copri le mie ossa con erba
Benedetta dalla tua caviglia.
E stringi le mie catene
Con un ricciolo dei tuoi capelli
Con un filo penzolante dell’orlo del
tuo vestito.
Erri De Luca: il fascino sinistro della violenza
Ho ascoltato un giorno Erri De Luca parlare degli anni della contestazione: sono anni che appartengono anche a me e nei quali ho ambientato il romanzo Cupo tempo gentile. Lo scrittore napoletano parlava delle molotov e degli scontri con un entusiasmo e una foga che mi ricordava l’esaltazione della violenza di Gabriele D’Annunzio nei giorni della marcia su Fiume. In Erri De Luca è presente un dannunzianesimo di sinistra, un’idea di violenza come liberatrice e rigeneratrice: certo, qui non si tratta della marcia degli arditi, ma del diritto degli “sfruttati” di operare anche con la violenza contro le ingiustizie della società. Non è importante che il governo ed il parlamento di uno stato democratico abbia liberamente deciso di costruire la ferrovia Torino-Lione: il discorso di Erri De Luca va oltre, molto oltre, il legittimo diritto di contestare anche ruvidamente una scelta. Si può pensare quello che si vuole della Tav, ma non si possono giustificare in alcun modo atti di violenza e sabotaggi.
Seguendo questa logica ogni paese e gruppo avrebbe il diritto di fare una rivolta violenta contro le decisioni prese da chi, bene o male, spesso più male che bene, rappresenta il popolo italiano. Si tratta di una posizione tra la giacobina e la leninista che dà il diritto ad ogni minoranza di giusti e “illuminati” di ricorrere sempre e comunque alla violenza.
L’affermazione però più assurda è quella di vedere negli anni di piombo una guerra civile. Per essere una guerra civile bisogna che ci sia una qualche base popolare, bisogna avere di fronte uno Stato che non permetta libertà di voto, di espressione e di propaganda. Se due o tremila persone, appoggiate magari silenziosamente da un centinaio di migliaia di persone (e mi tengo largo), decide di prendere le armi contro lo Stato, sta dando inizio ad una svolta terroristica della contestazione che non può essere in alcun modo giustificata. Si ricorda De Luca l’assassinio del sindacalista Guido Rossa? E l’orribile video con cui si mostrava l’esecuzione spietata e mafiosa con un colpo alla tempia del fratello di Peci mentre sullo sfondo risuonavano le note dell’Internazionale? Le parole dello scrittore napoletano suonano irrimediabilmente come giustificazione della violenza e come offesa ai famigliari delle vittime. Bene ha fatto Caselli ad uscire da Magistratura Democratica dal momento che queste parole erano state scritte in una pubblicazione a questa corrente piuttosto vicina.
Voglio ricordare Sofri, il quale ha sempre rivendicato la sua innocenza nel delitto Calabresi, ma ha anche condannato le parole sue e quelle di altri che di tale delitto hanno preparato il clima e lo hanno favorito. Non so se Sofri sia innocente o meno, so che questo suo riconoscimento di una qualche colpevolezza morale è assolutamente giusto. “Le parole sono pietre” ha scritto qualcuno e prima di pronunciarle Erri De Luca dovrebbe un po’ rifletterci sopra.
Umberto Piersanti
‘Il trionfo dei Masanielli’ di Umberto Piersanti
Il trionfo dei Masanielli
(Da Grillo a Gianluigi Paragone)
La storia italiana manca di vere rivoluzioni ed anche di riformismi autentici. L’emblema di questa storia è il pescivendolo napoletano che, dopo avere guidato la rivolta contro gli spagnoli, si trova, per un breve periodo, a governare Napoli. E lo fa così male che sarà il suo stesso popolo a decretarne la fine.
Facendo un salto di secoli Mussolini è figlio di un populismo e di un ribellismo esasperato. Certo, le colpe della vecchia classe dirigente liberale erano innumerevoli, ma il Regime che viene fuori da questa rivolta decisamente peggiore. Da una parte c’è la destra con la sua retorica nazionalista e guerrafondaia, dall’altra una sinistra massimalista che era poi la parte politica da cui lo stesso Mussolini proveniva, ad agitare le piazze facendo leva su uno scontento reale, sulle difficoltà spaventose che la società italiana si trovava ad affrontare.
Anche oggi assistiamo ad una situazione per alcuni versi somigliante, certamente non uguale perché la storia non si ripete mai in modo identico. Le dirigenze politiche che si sono succedute negli ultimi quarant’anni hanno prodotto guasti terribili, un debito pubblico spaventoso e un’architettura amministrativa tanto complessa per quanto inefficiente e, spesso, corrotta. Ma quali sono le proposte di Grillo? C’è una minima idea di riforma economica e costituzionale? Tutti sanno che il bicameralismo perfetto è una follia: in nessun altro paese, d’Europa e del mondo, ci sono due Camere con le stesse identiche funzioni, basta un ritocco minimo ad una legge ed ecco che dev’essere rimandata all’altra Camera in un palleggio continuo e disperante. Grillo, però, si ritiene un custode totale della Costituzione e non ne accetta il minimo cambiamento. L’uscita dall’euro affidata ad un referendum popolare fa leva, non su di un discorso razionale, ma sul dramma e la disperazione dominanti oggi nel nostro Paese. È vero, le pulsioni “rivoltose” vanno anche al di là dei Grillini: con i Forconi siamo spesso sull’orlo del caos, anche se raccolgono una giusta ira e una profonda disperazione dei cittadini.
Posted in Le Lettere e la Polis
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