Alberto Bertoni
Inediti al telefonino
(estate-autunno 2013)
Nota introduttiva
“Canto d’emergenza dei pensieri, nato da un sentimento”, così Paul Celan, nella bella versione di Michele Ranchetti, definisce la poesia come un affioramento in forma cantata, dunque “musicale”, di una percezione che sbuca dalle zone più oscure e profonde del soggetto che lo avverte e lo pronuncia. A muovere il processo è un sentimento: vale a dire un’emozione profonda, uno stato di pathos, un’alterazione dell’apatia distratta che ci accompagna nel tempo ripetitivo e passivo della quotidianità. Qui è decisivo il valore polisemico della parola “emergenza”, che vale come stato di allarme e di difficoltà; ma anche come emersione, tragitto verso la superficie e la luce. E’ chiaro che, soprattutto oggi, questa doppiezza è molto attuale e tutti i poeti (ambosessi) più avvertiti ne tengono più o meno consciamente conto.
Certo, non è che lo scrivere in versi assicuri di per sé, solo perché è parola che va a capo discorrendo di emozioni e sentimenti, di perdite e lutti, profondità o qualità o originalità a chi lo pratica. Anzi, tutto sommato, l’atto più forte che si può compiere entrando nel campo di gioco e di tensione della poesia è – ancora e sempre – quello della lettura individuale silenziosa, concentrata e disposta a chiedere un silenzio assoluto alla propria voce interiore per lasciarsi invadere dalla personalità e dalla sensibilità di un’altra voce tanto più originale, potente e nutriente. Io stesso, per esempio, mi diverto molto di più a leggerla che a scriverla, la poesia.
Questo non implica che i nuovi media di trasmissione del sapere e della parola, mail sms web, siano in sé nemici della poesia: al contrario, questi testi – che sono gli ultimi in ordine cronologico da me composti, tra il 14 luglio e il 10 novembre del 2013 – sono anche i primi che ho scritto sfruttando l’app “Note” del mio telefonino iPhone: e intendo “scritto” in modo integrale, dall’affioramento della prima frase o spunto fino alla versione finale che qui pubblico per la prima volta, passando per quella ventina di riscritture più o meno integrali che coincide per me con lo “scrivere una poesia”. Giudichi il lettore il risultato: da autore, mi pare che la qualità non abbia sofferto troppo della svolta radicale intrapresa dalla forma profonda della mia scrittura.
Dialoghetto bolognese
A dar retta al messaggio
già stazioni seduto e guardi altrove
mentre corro sul ponte
verso il Liber Paradisus del Comune
un eden facile, appena di sbieco
rispetto al brutto viale periferico
che scende dall’ippodromo verso
via Carracci
Non mi dispiace
indovinare i vuoti
degli occhi, delle labbra, delle guance
rispettarli e non riempirli
se decidi che ami i miei silenzi
quel che nessuno vuole
le ritirate, i time-out improvvisi
che chiede alla fine la mia mente
quando la partita è persa
e la prossima è altrove
perché a nessuno dei due
salva più niente
il rientro fragile, quasi barcollante
e la suola tagliata delle scarpe
una botta di dolore
sulle gambe