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Il paese invisibile e il passo per inventarlo
Roberto Marconi utilizza lo stile del poema in prosa per costruire una favola moderna, improntata sulla solidarietà e l’accoglienza di un paese immaginario, modellato sulla falsa riga di quei luoghi della Marca del sud in cui è nato e in cui risiede da sempre. È il paese infatti il baricentro di questo singolare racconto poetico (Il paese invisibile e il passo per inventarlo, pref. di Umberto Piersanti, Arcipelagoitaca, pp. 113, euro 16,00), così come è stato per la vicenda esistenziale e dolorosa di un Pavese o per quella tenera e cordiale di Fabio Tombari, altro grande narratore marchigiano scomparso nel 1989. Ce ne ricorda le affiliazioni Umberto Piersanti nella raffinata prefazione che apre il libro di questo poeta e scrittore di Potenza Picena, legato ai suoi luoghi ma con un’apertura verso l’Altro che testimonia di un “cristianesimo mai esibito e mai confessionale”, sempre alla ricerca di una ostinata compassione verso chi soffre e verso chi non riceve mai “un complimento un mi piace”.
Attraverso uno stile polifonico e a dir poco originale, svariate sono le voci e le riflessioni che si susseguono in questi “appunti di vita” e che rimane d’altronde arduo collocare in un tempo ben circostanziato: ad ogni modo però non si tratta di scene anonime bensì situate in una topografia realmente esistente (Via Le Rupi, Umberto I, Largo Asciutti…) e che dimostrano un forte attaccamento alla propria terra, alle proprie origini, senza per questo tacciare l’autore come forzatamente “provinciale” o “aneddotico”: “Certo, Roberto Marconi sfugge ad una dimensione aneddotica e provinciale, ma lo fa in un modo tutto suo”, dirà infatti Piersanti.
Opere d’arte come pre-testi
“Opere d’arte come pre-testi”
di Mina Fiore
Tanto nette le premesse da cui muove questo volume – presentare capolavori d’arte delle Marche attraverso le voci di poeti legati a queste terre per origine o elezione – quanto imprevedibili e aperte le “trascrizioni” che ne nascono.
La nuova edizione del libro, arricchita dalla prefazione di Massimo Raffaeli, oltre che da una nota storico-artistica di Daniela Simoni, è dedicata alla memoria del poeta Francesco Scarabicchi – presente con un suo scritto all’interno della raccolta – e ampliata con cinque nuovi sguardi di autori su altrettante opere d’arte.
Molte vite e molte storie possono addensarsi attorno a quadri e sculture; lunghe catene di vicende e di pensieri di cui, di volta in volta, si può illuminare un frammento e, da quello, partire per ricostruire o creare una narrazione. Si può posare l’attenzione sul soggetto raffigurato, o parlare del suo autore, o mettere al centro l’oggetto fisico, il dipinto, seguirne gli spostamenti da un luogo a un altro; chi scrive può comparire in prima persona, o lasciar parlare direttamente un personaggio raffigurato. In molti casi l’opera d’arte sembra costituire un “pre-testo”, imprescindibile, per l’avvio di un flusso di coscienza che diviene autonomo.
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Tagged antologia, cristina babino, Massimo Raffaeli, mina fiore, poesia, recensione, s'agli occhi credi, umberto piersanti, vydia editore
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Lezione di meraviglia, di Daniele Ricci
La “lezione di meraviglia” – questo il titolo scelto per la sua seconda raccolta poetica, per i tipi di Pequod – di Daniele Ricci non è ammaestramento allo stupore, ma disponibilità a lasciarsi attraversare dal linguaggio, ad accoglierne l’ambiguità stupefacente: la parola libera e ingabbia; può sì far rapprendere le emozioni, addensarle, attribuir loro uno spessore, ma ugualmente è votata allo scacco nel corpo a corpo con ciò che non si può dire. Resta sempre uno scarto ultimo, un fondo di indicibile, un liquore che resiste alla cristallizzazione della sensazione nella lettera morta della scrittura, nella riduzione a logica grammaticale – e semantica – dell’alogico e asemantico sentimentale: «Mi tiro dietro uno strascico / di dolore senza fine / e non riesco a marginarlo / nella sintassi di una frase semplice». Sarà forse per questo che, dall’inconscia scaturigine della scrittura poetica di un autore che è anche insegnante e filologo, provengono soprattutto immagini marine e vitree: due marche in antitesi dialettica tra l’ingovernabile e il governato, tra l’abisso e il confine, l’eccesso e la cornice. E non è un caso che siano proprio «il dolore» e «il tradimento» a essere «di vetro»: è il dolore con e per il tradimento della lingua, amata e odiata poiché separa e ripara dal sentire, ma solo un po’, mai del tutto. In virtù della parzialità della sua azione protettiva, non risarcisce e non compensa, pur nella bellezza, la vitalità ammansita. Eppure i versi di questa raccolta sembrano anche accogliere, quasi con sentimento di fede, la possibilità che la parola non tanto «squadri da ogni lato» le cose che esistono e non si comprendono, ma faccia accadere quel che manca al e nel reale: al di fuori del dispositivo poetico, la vita non c’è, sfugge alla presa.
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Tagged carolina iacucci, daniele ricci, lezione di meraviglia, pequod, poesia, recensione
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Tempo – Excursions, la poesia italiana in inglese
Nella sua interessante prefazione all’antologia Tempo: Excursions in 21st-Century Italian Poetry (edited by Luca Paci, 2022) l’editore e nel contempo curatore dell’opera individua il motivo principale che secondo la sua interpretazione ha impedito la diffusione della poesia italiana contemporanea presso il pubblico dei lettori di lingua inglese.
Le origini di questo problema vanno ricercate negli anni successivi alla vittoria del Nobel da parte di Montale e Quasimodo, quando la traduzione della poesia italiana in lingua inglese ha perduto un po’ alla volta il posto che aveva occupato fino ad allora grazie all’impatto positivo del Nobel stesso, assumendo quindi una posizione di gran lunga marginale. Per questo motivo un’antologia della poesia italiana del ventunesimo secolo, o meglio, come recita il titolo originale “Excursions”, un percorso, una traccia da segnare per orientarsi, risulta essere quanto mai necessaria nel nostro tempo.
Luca Paci indica e motiva una serie di linee orientative che ha seguito per realizzarla.
Sorvoli di Tiziano Broggiato
Ad incipit del suo recente libro Sorvoli (Luigi Pellegrini editore, Cosenza 2023) Tiziano Broggiato ha posto i versi del poeta polacco Ceszlaw Milosz: “Il poeta è colui che vola sopra la terra/ e la guarda dall’alto e al tempo stesso/ colui che vede ogni suo dettaglio”.
Lo sguardo dell’autore, infatti, sa posarsi a volo radente, grazie alla forza creativa e immaginifica della parola, sui luoghi e sulle vicende della sua esistenza. La scrittura di Broggiato è sempre precisa, elegante, di un lirismo sottaciuto, ma presente, che designa una lingua del tutto originale: “L’inquieto ottobre indossa vesti giallo oro. //Con mani vagabonde appende/ la sua luce bifronte al tozzo ulivo/ domestico”. Nasce spontanea la poesia per l’autore come il suo stesso respiro e rappresenta per lui un ramo proteso, una possibile ancora, per giungere, attraverso le vicissitudini dell’esistenza, ad una possibile salvezza. Di frequente nei testi compaiono metafore ardite, talvolta enigmatiche, ma sempre funzionali ai nuclei concettuali ed immaginativi del discorso poetico.
Un’aurea di mistero avvolge l’intero libro, popolato d’ombre, di un materiale magmatico di sogni, di inquietudini, di ricordi talora dolenti, che un’insonnia vorticosa della mente amplifica. Scrive Tiziano Broggiato nella poesia Loro: “Sono loro, i cartografi celesti/ gli abili mistificatori, / le ombre furtive/ che si aggirano indenni/ per i gironi del sonno/ senza mai giacere un momento, / senza mai lasciare incustodite, / neppure per un istante, / le grandi porte segnate col gesso”. Forse sono i fantasmi del passato, le inquietudini a prendere forma, a insidiare il poeta alla luce tenue del dormiveglia, alle prime luci dell’alba: “Finirà che a luce spenta/ scenderò anch’io sotto la linea/ di galleggiamento fin dove i miei spettri/ non potranno essere intercettati.”
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Tagged luigi pellegrini editore, raffaella bettiol, recensione, sorvoli, tiziano broggiato
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A ogni stazione del viaggio di Loretto Rafanelli
Su A ogni stazione del viaggio di Loretto Rafanelli (Jaca Book, 2021)
A otto anni dalla pubblicazione della raccolta L’indice delle distanze (Jaca Book, 2013) Loretto Rafanelli ci offre ancora una volta la sua voce gentile e carica di forza calma. Nelle poesie di A ogni stazione del viaggio le parole prendono la consistenza di un rimedio, quasi desiderose di accollarsi il dolore e lo sconforto del mondo: «A voi consegno / il pianto senza lacrime di una poesia», si legge ne “Il pozzo del dolore”, dedicata agli studenti di Ayotzinapa uccisi dai narcotrafficanti messicani. (1) La voce del poeta è delicata, accarezza e si fa, nella costruzione poetica, discorso civile:
Non si contano più i morti della guerra
siriana. Quelle bocche arse dalla sabbia
nera. Perché le cronache del mondo
sono respiri di ossa, di vene,
di braccia, nel forno freddo
della storia. E come trattenere i fitti lamenti
dei piccoli, come abbracciare
i loro transiti fissati nei muri, come
censire anni di squarci, di fuoco, di buio
nel buio, di fiori sbiaditi. E l’odore
guasto è la tinta del cielo e nulla
ci indica la via di Aleppo. (2)
A guardar bene, il titolo della raccolta non è solo un ossimoro: è la dimensione stessa dell’esistenza. Il viaggio di Rafanelli è un itinerario segnato da tappe che sono momenti di passaggio, a volte veri e propri strappi, una geografia personale che marchia i solchi della memoria. Ciò, in fondo, è quello che accade a ognuno di noi se il viaggio che compiamo, ricompone quello che siamo e scompiglia e ricombina le nostre scaglie di luce come in un caleidoscopio.
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Tagged a ogni stazione del viaggio, jaca book, loretto rafanelli, luigi colagreco, poesia, recensione
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Estate corporale. Due libri di poesia di Alessandra Corbetta
Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Il perdono è quell’essere che non trovi facilmente: scrivi testi, lettere, chiami a un numero e non ti dà la risposta facendo finta di niente prima o poi arriva quella inaspettata, all’improvviso pure nell’oblio.
La poesia di Alessandra è lapidaria, ogni testo è una parte di pelle: chi legge dentro può indovinarne la porzione o farne parte. Ti mette di fronte a un ricordo, un disagio, a un amore passato dalle mail mai spedite, il souvenir in questo caso diventa carne e ombra. Lei la prende alla lontana, ma neanche tanto, quando inizia la raccolta fisica Corpo della gioventù con un testo in riferimento a una donna, colta mentre s’allena (da velocista) sola in un’arena dopo aver perso il lavoro, in parte così descritta dal suo grande autore e ripresa dalla nostra A. per raffrontarla con se stessa: perché nella vita si cammina sempre in bilico come in una favola e, per non perdere del tutto la strada, si raccoglie quello che si semina, lungo quella via in cui si procede tra cruda realtà e fantasia, “tra sasso e poesia” come in uno specchio. L’unica sicurezza è il verso libero, le pause tra qualche strofa, la prosa quotidiana che entra senza troppi cerimoniali nell’andare a capo (come il nome della casa editrice).
L’amore al centro del libro e soprattutto in periferia non è per forza eterosessuale quando una sorella gli dà il suo cuore in questo caso l’amicizia è di sangue. Il linguaggio si fa strada ed entra tra le fessure (con questo termine inizia la prima sezione) così perforante che anche la nostalgia è una coperta e Alessandra ne tiene il filo, lo stesso che percorre l’orizzonte tra cielo e mare o come nei versi “tra l’onda e la sua schiuma”, quegli spazi bianchi in cui si dice tutto senza proferir parole di troppo.. Scriveva Benjamin in “Metafisica della gioventù” «Il linguaggio è nascosto come il passato, futuro come il silenzio. Colui che parla fa emergere in esso il passato, nascosto dal linguaggio egli accoglie in sé, nel discorso, la femminilità che egli stesso è stato. – Ma le donne tacciono. Ciò che ascoltano sono le parole non dette».
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Tagged alessandra corbetta, corpo della gioventù, estate corsara, poesia, puntoacapo, recensione
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Per la cruna di Daniele Piccini
Di Tiziano Broggiato
Daniele Piccini – Per la cruna (Crocetti, 2022)
In verità mi trovo in deciso disaccordo con quanti affermano che questo Per la cruna rappresenti la raggiunta, piena maturità della poesia di Daniele Piccini. Penso infatti che a partire dal Canzoniere scritto solo per amore (Jaca book, 2003) la sua voce dal tono severo, schietto e al contempo dotata di una sua limpida trasparenza si sia sempre mantenuta su una linearità alta, precisa, scevra di andamenti ondivaghi e di sicura conoscibilità. Del resto anche con la sua assidua frequentazione della critica letteraria Piccini ci ha abituati fin da subito alla disamina acuta, colta, dalle esemplari citazioni dimostrando di essere naturalmente in possesso di strumenti critici di notevole spessore. Piuttosto, in questo poema egli aggiunge una sorta di ulteriore sublimazione del ritmo, della cantabilità del verso che da sempre distingue la sua scrittura ascensionale.
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Tagged crocetti, crocetti editore, daniele piccini, per la cruna, poesia, recensione, tiziano broggiato
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