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Sorvoli di Tiziano Broggiato
Ad incipit del suo recente libro Sorvoli (Luigi Pellegrini editore, Cosenza 2023) Tiziano Broggiato ha posto i versi del poeta polacco Ceszlaw Milosz: “Il poeta è colui che vola sopra la terra/ e la guarda dall’alto e al tempo stesso/ colui che vede ogni suo dettaglio”.
Lo sguardo dell’autore, infatti, sa posarsi a volo radente, grazie alla forza creativa e immaginifica della parola, sui luoghi e sulle vicende della sua esistenza. La scrittura di Broggiato è sempre precisa, elegante, di un lirismo sottaciuto, ma presente, che designa una lingua del tutto originale: “L’inquieto ottobre indossa vesti giallo oro. //Con mani vagabonde appende/ la sua luce bifronte al tozzo ulivo/ domestico”. Nasce spontanea la poesia per l’autore come il suo stesso respiro e rappresenta per lui un ramo proteso, una possibile ancora, per giungere, attraverso le vicissitudini dell’esistenza, ad una possibile salvezza. Di frequente nei testi compaiono metafore ardite, talvolta enigmatiche, ma sempre funzionali ai nuclei concettuali ed immaginativi del discorso poetico.
Un’aurea di mistero avvolge l’intero libro, popolato d’ombre, di un materiale magmatico di sogni, di inquietudini, di ricordi talora dolenti, che un’insonnia vorticosa della mente amplifica. Scrive Tiziano Broggiato nella poesia Loro: “Sono loro, i cartografi celesti/ gli abili mistificatori, / le ombre furtive/ che si aggirano indenni/ per i gironi del sonno/ senza mai giacere un momento, / senza mai lasciare incustodite, / neppure per un istante, / le grandi porte segnate col gesso”. Forse sono i fantasmi del passato, le inquietudini a prendere forma, a insidiare il poeta alla luce tenue del dormiveglia, alle prime luci dell’alba: “Finirà che a luce spenta/ scenderò anch’io sotto la linea/ di galleggiamento fin dove i miei spettri/ non potranno essere intercettati.”
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Tagged luigi pellegrini editore, raffaella bettiol, recensione, sorvoli, tiziano broggiato
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A ogni stazione del viaggio di Loretto Rafanelli
Su A ogni stazione del viaggio di Loretto Rafanelli (Jaca Book, 2021)
A otto anni dalla pubblicazione della raccolta L’indice delle distanze (Jaca Book, 2013) Loretto Rafanelli ci offre ancora una volta la sua voce gentile e carica di forza calma. Nelle poesie di A ogni stazione del viaggio le parole prendono la consistenza di un rimedio, quasi desiderose di accollarsi il dolore e lo sconforto del mondo: «A voi consegno / il pianto senza lacrime di una poesia», si legge ne “Il pozzo del dolore”, dedicata agli studenti di Ayotzinapa uccisi dai narcotrafficanti messicani. (1) La voce del poeta è delicata, accarezza e si fa, nella costruzione poetica, discorso civile:
Non si contano più i morti della guerra
siriana. Quelle bocche arse dalla sabbia
nera. Perché le cronache del mondo
sono respiri di ossa, di vene,
di braccia, nel forno freddo
della storia. E come trattenere i fitti lamenti
dei piccoli, come abbracciare
i loro transiti fissati nei muri, come
censire anni di squarci, di fuoco, di buio
nel buio, di fiori sbiaditi. E l’odore
guasto è la tinta del cielo e nulla
ci indica la via di Aleppo. (2)
A guardar bene, il titolo della raccolta non è solo un ossimoro: è la dimensione stessa dell’esistenza. Il viaggio di Rafanelli è un itinerario segnato da tappe che sono momenti di passaggio, a volte veri e propri strappi, una geografia personale che marchia i solchi della memoria. Ciò, in fondo, è quello che accade a ognuno di noi se il viaggio che compiamo, ricompone quello che siamo e scompiglia e ricombina le nostre scaglie di luce come in un caleidoscopio.
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Tagged a ogni stazione del viaggio, jaca book, loretto rafanelli, luigi colagreco, poesia, recensione
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Estate corporale. Due libri di poesia di Alessandra Corbetta
Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Il perdono è quell’essere che non trovi facilmente: scrivi testi, lettere, chiami a un numero e non ti dà la risposta facendo finta di niente prima o poi arriva quella inaspettata, all’improvviso pure nell’oblio.
La poesia di Alessandra è lapidaria, ogni testo è una parte di pelle: chi legge dentro può indovinarne la porzione o farne parte. Ti mette di fronte a un ricordo, un disagio, a un amore passato dalle mail mai spedite, il souvenir in questo caso diventa carne e ombra. Lei la prende alla lontana, ma neanche tanto, quando inizia la raccolta fisica Corpo della gioventù con un testo in riferimento a una donna, colta mentre s’allena (da velocista) sola in un’arena dopo aver perso il lavoro, in parte così descritta dal suo grande autore e ripresa dalla nostra A. per raffrontarla con se stessa: perché nella vita si cammina sempre in bilico come in una favola e, per non perdere del tutto la strada, si raccoglie quello che si semina, lungo quella via in cui si procede tra cruda realtà e fantasia, “tra sasso e poesia” come in uno specchio. L’unica sicurezza è il verso libero, le pause tra qualche strofa, la prosa quotidiana che entra senza troppi cerimoniali nell’andare a capo (come il nome della casa editrice).
L’amore al centro del libro e soprattutto in periferia non è per forza eterosessuale quando una sorella gli dà il suo cuore in questo caso l’amicizia è di sangue. Il linguaggio si fa strada ed entra tra le fessure (con questo termine inizia la prima sezione) così perforante che anche la nostalgia è una coperta e Alessandra ne tiene il filo, lo stesso che percorre l’orizzonte tra cielo e mare o come nei versi “tra l’onda e la sua schiuma”, quegli spazi bianchi in cui si dice tutto senza proferir parole di troppo.. Scriveva Benjamin in “Metafisica della gioventù” «Il linguaggio è nascosto come il passato, futuro come il silenzio. Colui che parla fa emergere in esso il passato, nascosto dal linguaggio egli accoglie in sé, nel discorso, la femminilità che egli stesso è stato. – Ma le donne tacciono. Ciò che ascoltano sono le parole non dette».
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Tagged alessandra corbetta, corpo della gioventù, estate corsara, poesia, puntoacapo, recensione
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Per la cruna di Daniele Piccini
Di Tiziano Broggiato
Daniele Piccini – Per la cruna (Crocetti, 2022)
In verità mi trovo in deciso disaccordo con quanti affermano che questo Per la cruna rappresenti la raggiunta, piena maturità della poesia di Daniele Piccini. Penso infatti che a partire dal Canzoniere scritto solo per amore (Jaca book, 2003) la sua voce dal tono severo, schietto e al contempo dotata di una sua limpida trasparenza si sia sempre mantenuta su una linearità alta, precisa, scevra di andamenti ondivaghi e di sicura conoscibilità. Del resto anche con la sua assidua frequentazione della critica letteraria Piccini ci ha abituati fin da subito alla disamina acuta, colta, dalle esemplari citazioni dimostrando di essere naturalmente in possesso di strumenti critici di notevole spessore. Piuttosto, in questo poema egli aggiunge una sorta di ulteriore sublimazione del ritmo, della cantabilità del verso che da sempre distingue la sua scrittura ascensionale.
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Tagged crocetti, crocetti editore, daniele piccini, per la cruna, poesia, recensione, tiziano broggiato
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Nell’antico Ducato
Narratore e poeta, Umberto Piersanti in questo breve ma vivace libro di dodici racconti, intitolato Nell’antico Ducato (ed. affinità elettive, Ancona 2022), ci offre uno sguardo appassionato del Montefeltro e in particolare di Urbino e delle Cesane: luoghi ai quali è legata la sua vicenda personale e letteraria.
Quale cantore delle Cesane, definite da Carlo Bo le sue Georgiche familiari, Piersanti è da sempre stato affascinato dall’oralità: nelle culture orali, la parola diviene anche azione, quasi una rappresentazione capace di far rivivere le scene, coinvolgendo totalmente nella situazione narrata l’uditorio. La forza denotativa della poetica dell’urbinate si ritrova, infatti, nella forza espressiva della parola, nel suo afflato vitalistico, quasi carnale e nei suoi colori caldi e vividi. Mille voci emergono dalla sua ispirazione lirico-narrativa, attraversate dal mito, ma calate in un sentire contemporaneo.
Questo libro, caratterizzato da una scrittura libera e ariosa, nasce realmente dall’oralità, dalla dettatura improvvisata al telefono dei vari racconti ad una segretaria, che diligentemente li trascriveva. È stata un’occasione particolare, infatti, dovuta ad una richiesta dell’azienda Benelli di Urbino, la ragione che ha dato vita a questo libro, scritto in modo felice.
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Tagged affinità elettive, nellantico ducato, racconti, raffaella bettiol, umberto piersanti
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La diagonale della vita in Camilla Ziglia
di Massimo Parolini
«La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie.», scriveva Hugo Von Hofmannsthal ne Il libro degli amici. Usiamo questa citazione in esergo ad una breve annotazione critica alla raccolta poetica Rivelazioni d’acqua di Camilla Ziglia (puntoacapo, 2021), nella quale ritroviamo un lessico semplice, di comprensione immediata, con poesie brevi che seguono un andamento conciso e sentenzioso, in un dialogo fra anime fatto di brevi proposizioni o brachilogie (come indicava Platone per la Dialettica differenziando tale metodo dalla Macrologia, tipica della Retorica); una silloge coesa e coerente dove, come sostiene Ivan Fedeli nella sua puntuale prefazione, siamo in presenza della «forza nitida di una parola piena», e nella quale, contenutisticamente, «è il lago il luogo d’incontro, la sua lentezza paziente dove tutto si cala, galleggia, affonda, riemerge, in una terra di nessuno, un non luogo dove appartenersi e, pur per poco, meravigliarsi» (ibid.). La superficie del lago si fa metafora della forma, limpida e quasi sempre rispecchiante (pur torbidamente) la profondità simbolica e analogica del suo fondo, dove risiedono i significati da far riemergere, come scrisse Goethe riferendosi allo stile dei propri romanzi, grazie «al garbo della forma». «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa», ci ricorda S. Paolo (Lettera ai Corinzi, 13,12). E di una descensus speculi si nutre, dialetticamente, lo scorrere unitario dei versi nella silloge.
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Dissociazione elementare di Silvia Gelosi
Silvia Gelosi, Dissociazione elementare, pref. di Gian Mario Villalta, Arcipelago itaca 2022
Questa raccolta di esordio di Silvia Gelosi affonda la sua lama in una prosa poetica diretta e senza fronzoli, una “dissociazione elementare” – come si conviene dal titolo – che ci riguarda un po’ tutti da vicino: riguarda le nostre paure, gli sbagli “innocenti”, il tempo che inesorabile passa, le stesse reiterate e quasi metodiche abitudini, l’assillo di non essere mai nel posto giusto al momento giusto.
C’è un incolparsi e al tempo stesso un dir-si resistenti alle proprie pene, una sorta di commiserazione velata che lascia però spazio a “fasci di luce” e a un qual certo barlume di speranza, come mette ampiamente in evidenza Gian Mario Villalta nella sua accurata prefazione: “da un lato c’è la vita che ogni giorno presenta il conto dell’insofferenza, della fatica, della perdita di quel sé che si sarebbe voluti essere e che ancora si vorrebbe; ma, d’altro lato, quello che ancora si vorrebbe, al cospetto del presente, dovrebbe essere altro, dirsi altrimenti”. Dunque una commistione di identità plurime traspaiono da questo libro, quelle che ci fanno rivolgere lo sguardo sempre all’altro ma al tempo stesso senza poter essere “mai gli altri nel mondo”, come dicono questi versi: “non sarò mai gli altri nel mondo/ non importa se lo impari,/ sono pietra rotta/ sminuzzata e concessa/ ora rimango luce sparsa tra i tagli vivi/ i resti dei discorsi, i cocci buttati qui/ tra le ombre a righe/ confuse dalle foglie”.
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Tagged arcipelago itaca, gian mario villalta, poesia, recensione, riccardo bravi, silvia gelosi
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Dove sono gli anni di Gian Mario Villalta
Gian Mario Villalta – Dove sono gli anni (Garzanti, 2022)
di Tiziano Broggiato
È necessario conoscere l’opera precedente di Gian Mario Villalta per poter cogliere pienamente la complessa struttura della sua nuova raccolta, Dove sono gli anni (Garzanti, 2022), che a mio avviso fissa l’apice della sua dimensione poetica. È necessario per comprendere e condividere un’evoluzioni stilistica che ha la sua testa di ponte in Vanità della mente (Mondadori, 2011), libro nel quale si è evidenziato un dettato “in transito”, tra buio e luce per tendersi poi via, via in un’astrazione guidata che sollecita una rilettura, una doverosa, accurata riflessione su temi improntati quasi interamente nel segno della conflittualità e della susseguente, necessaria riappacificazione.
Nella poesia di Villalta si coglie infatti la pronuncia di uno stile mediano inteso a definire le molte scansioni di una vicenda esistenziale in un movimento quasi a sistole e diastole, tra uno spazio chiuso nella memoria e l’espansione verso l’esterno. E in questi testi si colloca il centro di gravità figurale e al contempo astratto, concettuale. Tra una verità solo apparentemente tangibile e frammenti di immagine in una sorta di visione onirica della realtà. In questo contesto, che scivola dalla vita fino alla letteratura, c’è un tratteggio che magari in forma attenuata, va a collegarsi con gli echi dell’ansia di Montale, mentre il biancore aspro di alcune immagini propone inequivocabili accenti alla Celan. Un moto che va a incrociarsi con la spinta di un silenzio che preme verso l’esterno, quasi che le pagine del testo poetico siano il teatro di una lenta, rimandata partenza. Perché la sua poesia interviene su stadi topici del vissuto individuale e collettivo drammatizzandoli e dando loro vita per raccogliere questi emblemi come parte di un autentico museo silenzioso.
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