L’interezza avvertita, recensione di ‘Pasta madre’

Adelelmo Ruggieri

L’INTEREZZA AVVERTITA

Anche la natura qui ha un tratto logico.
(Milo De Angelis, Appunti su Pasta madre)

Pasta madre, di Franca Mancinelli, è diviso in sette parti che non hanno titolo, o meglio: hanno per titolo una facciata bianca. Le poesie di ciascuna parte sono in numero dispari, e dunque fra ciascuna parte e la successiva le facciate non scritte sono tre, e questo fa sì che in mezzo al libro ci siano diciotto facciate bianche, e tutto questo spazio bianco – tutto questa attesa e questo silenzio tra le pagine scritte – dà un grande chiarore a questo libro, il quale si aggiunge al chiarore delle poesie che lo compongono, e allora non si rimane “impigliati” fra le pagine; «impigliati tra i nostri / contorni di umani», scrive Franca nella prima poesia del libro; e nell’ultima poesia c’è una poeta che ricorda i suoi risvegli, e scrive:

dormivo su una pagina ogni notte
bianca. Il mattino
un’ombra del mio peso, alcune pieghe
e subito voltava: proseguire
è questo a capo del principio,
bocca che passa calore
all’aria come potesse svegliarsi
essere ancora salvata.

Tutto il chiarore di queste pagine sta insieme a questa salvezza, e al ricordo di quei risvegli.

*

Stamattina presto ho riletto Pasta madre.
Ho preparato dei foglietti per non perdere dei passaggi che volevo fermare. Ne ho fatti otto, e ho preso a leggere. Il primo l’ho messo a pagina 41: «qualcosa in noi respira / soltanto nel trasloco». Il secondo subito dopo, dopo le tre facciate bianche che dividono la quarta dalla quinta sezione del libro: «ho smesso di reggere i muri / donandomi ai crolli». Il terzo a pag. 47: «Dammi i tuoi occhi e sarò salvata». Il quarto a pag. 49: «Non distingui un nido / da un intreccio di gesti, / non distingui uno sguardo da un pozzo / non distingui le braccia / dall’edera che stringe in una rete.// A un’ora di sonno da qui / ti svegli fiutando le tracce / dell’uomo che ieri abitava / i tuoi stessi vestiti». Il quinto: «darò semplici baci di sutura». Il sesto: «La paura per faglie sottili / scenderà fino a perdersi». Il settimo a pag. 55: «ci sveglieremo coperti di neve / ai due lati del letto / una mattina divisa / da braccia congiunte / a forbice». L’ottavo a pag. 64: «la pelle bianca come un’ostia». A pag. 70 dovevo mettere un altro foglietto segna-versi ma non ne avevo più, e allora ho preso l’ottavo e l’ho diviso in due: «gesto dopo gesto entriamo / bambini con un segno d’acqua in chiesa».

*

Ci vuole sicuramente non poca pazienza e tanta accuratezza per fare la pasta madre. Ho letto che si comincia con cento grammi di farina biologica e ottanta di acqua di bottiglia; si impasta e si lascia riposare per due giorni. A questo punto si prendono cento grammi dell’impasto precedente, prima si toglie la crosta, si aggiungono cento di farina e ottanta di acqua tiepida, si impasta e si lascia riposare per due giorni. La terza fase è eguale alla seconda, ma le ore di riposo la metà. Nella quarta il dosaggio cambia, i grammi d’acqua cinquanta, dodici le ore di riposo; nella quinta quattro ore; nella sesta, se il volume è raddoppiato in quattro ore, vorrà dire che la pasta madre è pronta. Se non è pronta si ripete la fase.
La scelta del bianco e il numero delle sezioni, e la pausa fra sezione e sezione rievocano in Pasta madre il processo di formazione della stessa.
Ma portato a compimento il processo accade qualcosa di speciale; e quanto accade è la risposta a questa domanda: Come si conserva la pasta madre? Perché si conservi occorre rinfrescarla e rinfrescarla ancora, partendo dal nocciolo e impastando di nuovo.
Rileggiamo l’ultima poesia trascritta sopra. Nel suo indicativo imperfetto c’è l’interezza avvertita di un passato prossimo, ma è più lieve, più aperta: l’impasto è stato rinfrescato, è salvo, il libro è compiuto.

(2014)

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