Incantesimi

Incantesimi

Un racconto di Lorella Cerquetti

Ieri al supermercato ho chiesto al ragazzo tutto indaffarato del reparto verdura dove fosse quella cosa per pesare, si, insomma, la cosa che pesa le altre cose, gesticolavo e puntavo le dita e lo sguardo qua e là, e lui aggrottando la fronte: “Intende la bilancia?”.
Era solo l’inizio.
Intanto che tornavo alla macchina, una ragazza con una custodia enorme che le pesava sulle spalle, una custodia rigida e sagomata, da musicista, si è avvicinata sorridendo chiedendomi dove fosse il conservatorio. Facile. Proprio qui dietro, pensai, “allora fai così, vai avanti altri duecentometri metri fino lì, poi giri subito a sinistra..” facevo segno con la mano ancora aggrappata alla busta della spesa; guardai la ragazza per assicurarmi che avesse capito, quando mi accorsi del suo sguardo tra il sorpreso e il divertito: un uomo le gesticolava davanti, le mani tese ai quattro venti senza emettere suono. Non era uscita una sola parola dalla mia bocca. La ragazza se ne stava ferma e diritta davanti a me con le labbra schiuse. Mi guardava, i suoi occhi neri o forse d’altro colore, magari verdi o blu scuro, continuavano a sorridere ma lo sguardo era un altro. Intanto io avevo la fronte tutta bagnata, la camicia azzurra che via via s’inzuppava, mi si afflosciava sulla pelle: e in me cresceva a vista d’occhio un senso di fastidio. Almeno non avesse fatto così caldo! La ragazza, sembrava divertita, cercava il mio sguardo: “è dietro l’angolo?”; mi guardava negli occhi ed esagerando con il labiale, ripeteva come si fa con i sordi pronunciando lentamente “è dietro l’angolo???…”.
Adesso aveva qualcosa di felino nell’espressione. Mi guardavo intorno ma, nemmeno una parola si presentava all’appello. Niente. Le pensavo, le parole, le invocavo, le supplicavo…..niente.
Posa con un sospiro l’enorme custodia, senza alcuna esitazione allunga la mano verso di me, con il gesto di chi si presenta e rimane in attesa con le dita energiche ed eleganti distese e aperte: “mi chiamo Alice, anch’io balbettavo da piccola, è per questo che ho cominciato a suonare..”.

Io non balbettavo, no, non ho mai balbettato in vita mia. Alice non poteva saperlo. Non poteva neppure immaginare dove fossero a quell’ora le mie parole. Ad essere sincero nemmeno io in quel momento esatto sapevo dove fossero finite. Lo scoprii più tardi. Erano tutte incastrate o meglio impietrite davanti a un volto che non volevano lasciare, erano tutte ferme là. Davanti al possibile nell’impossibile.
Le mie parole, tutte, erano incastrate in quella strettoia fatale che sta tra l’amore e l’ostinazione. La ragazza non poteva saperlo. Di quella ragazza più di ogni altra cosa, però, oggi ricordo le mani, e la bocca poi: le mani si muovevano come suonassero uno strumento invisibile nell’aria. Ho sempre pensato che certi strumenti o anche altri oggetti, i più semplici, hanno una profonda connessione con il nostro corpo, come ne fossero l’estensione, ci scelgono, restano vicino a noi e si espandono con il nostro respiro.
Si crea una consonanza molecolare a volte tra noi e certi corpi cosiddetti inanimati, una coerenza poetica che scorre tra gli oggetti e le persone, come a volte tra il mio corpo e il corpo del mondo.
E’ l’attimo magico in cui tutto poi entra in risonanza, anche in silenzio, anche da lontano. Più o meno come nell’amore. Credo.
Comunque, le parole ancora non tornavano, la ragazza adesso era al telefono chissà con chi, che bel viso, la bocca, si, la bocca aveva una linea morbida e calma, disponibile: la bocca di chi è stato amato pensai…una bocca che sa l’amore. Lei parla, sorride, gesticola; le mie parole invece stanno ancora immobili davanti all’irraggiungibile, vittime di un incantesimo: l’ambiguità della bellezza che basta a se stessa. Le mie parole si erano forse dimenticate di me?
Incuranti del fatto che mi lasciavano lì, perso in una spossatezza infinita, esposto al mio silenzio e alla solitudine che solo l’assenza di parole evoca; dio come sono importanti le parole, servono a scrollarsi di dosso il buio, a spiegarsi come si spiegano le tovaglie all’aria di primavera, a piegare miserie, servono a sopportare il fatto di essere esposti all’universo sconosciuto; senza le parole sembra che nulla che ci leghi più alla terra.

Lorella Cerquetti è psicoanalista e autrice.
Oltre a scritti scientifici e racconti brevi, ricordiamo, tra i suoi testi finora pubblicati i maggiori successi dei Nomadi; Io voglio vivere, Sangue al cuore, La vita che seduce, Oriente, Soldato, Corpo estraneo, L’arte degli amanti, Vulcani, Ci vuole distanza, Toccami il cuore e moltissimi altri. Vive e lavora nelle Marche.

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