Tre poesie inedite e un’intervista a Daniele Martino

Daniele Martino

Daniele Martino lavora al “giornale della musica”, di cui è condirettore. È autore e conduttore radiofonico (Rai Radio3, Retedue Radio Svizzera Italiana). È critico teatrale e saggista (Catastrofi  sentimentali. Puccini e la sindrome pucciniana, EDT, è del 1993). Ha pubblicato Minimale in Nuovi Poeti Italiani 4 (Einaudi 1995). Ha scritto testi per i compositori Marco Betta e Marco Robino. Ha messo in scena con il musicoterapeuta Alberto Ezzu il reading-installazione il raga delle tartarughe. Traduce e firma adattamenti per “Giralangolo”, la collana per bambini e ragazzi della casa editrice EDT.

Tre yodel

I.
Piove dolcemente‚ ancora‚ a Thaur
mentre alla finestra di questo hotel di legno
e di gerani e linde stoffe e croci
guardo il Tirolo e l’Inn dove mi trovo
in fuga motivata‚ solo per un voto.
Sulle mura bianche (un vero idillio!)
qui nel silenzio ricco ed evasivo
ad ogni svolta c’è un dipinto ex voto
preghiera colorata di una fede.

Io scrivo proprio sotto St. Romedius
che nacque qui‚ si dice‚ nel Castello
e visse poi da povero eremita.
Essere qui per me è già un rimedio
santo abbandono a un romitaggio laico
o meglio‚ protestante‚ come sempre:
valdese‚ sto annidato qui tra cuori
perforati e croci e sangue gocciolante.
Solo tra devoti che non sanno‚ resto:
mi cullo in un silenzio verde‚ mesto.

II.
Alla settima stazione mi riposo
seduto su una candida panchina
nuova‚ pulita‚ con cesto per le carte:
il confortante simbolo di una presenza.

Il mio Monte Ventoso è tirolese
e il vento è poco‚ tra nuvole e pinete:
là in fondo‚ conquistati in poche rampe
la torre cipollina‚ i campi e l’Inn.

Questo pellegrinaggio improvvisato
questa Via Crucis‚ solo e senza croce
nel mezzo del cammin della mia vita
in termini allegorici è banale.

Ma il sudore‚ la fatica solitaria
l’austriaca travolgente arietta letteraria
sono la spinta per finire in cima
al mio calvario estivo‚ goduto in anteprima.

III.
Nel magazzino del sale medievale
oggi è di scena il suono degli spazi
un’ambient music che annota un temporale
o il respirare liquido di una boscaglia.

Al vernissage tra luci e esperimenti
la vera installazione è dei presenti
la gente che io guado mentre guarda
nuotando dentro l’antropofobia.

Le mie energie‚ le valvole sociali
saltano presto‚ senza avvertimenti:
m’inchiodo sui due piedi nell’ipnosi
sgomento ed impietrito nel viavai.

Intervista a Daniele Martino di Antonio Prenna

EFFIMERO&ETERNO, per la musica si adatta così bene, assisti a un concerto, vai all’opera, metti un cd in macchina, quel momento è assoluto (se la musica ti prende e non è muzak e/o solo intrattenimento), può fissarsi nella memoria (Hurricane di Dylan per me oppure Debussy La mer) eppure svanisce.
Questa sarebbe l’intervista in corso, qui nei messaggi facebook?

– Sì, qui non è male che ne dici? domanda e risposta considerazioni e puntualizzazioni quando si ha voglia e tempo
La musica purtroppo per me è diventato un mestiere, a volte non cerco che il silenzio, a volte mi esalto ancora, ma sono diventato spietato, ho ascoltato troppo

“Purtroppo” significa che non ascolti quello che vorresti? Oppure non c’è qualcosa di nuovo che ti attiri così tanto da perderti nell’ascolto come ti sarà capitato ai bei tempi? Quando ti sei esaltato ultimamente? (a me capita molto di rado, l’ultimo entusiasmo forse è stato Aphex Twin e derivati ma non ci scommetterei)
Trovo sempre qualcosa di bello, visto che il mio mestiere è appunto nuotare nel mare degli ascolti e individuare qualcosa di nuovo ed emotivo; gran parte dei mie post sui social network infatti condividono in tempo simultaneo le mie scoperte. Non mi piace ascoltare musica da solo! Al tempo stesso la mia tenuta di ascolto è crollata: non riesco ad andare oltre un’ora.

L’oceano sonoro … dilatatosi assai in tempi elettronici … mi ritrovo spesso davanti ai miei cd e non so mai quale mettere, finisco sempre con i soliti miei: Stomu Yamash’ta, Frank Zappa (insuperabile e sempre attuale), love Vanilla Fudge, Rory Gallagher (ma ne ho detti anche troppi)… in macchina è anche peggio … adesso mi tengono compagnia i Fratelli Mancuso … e parlo di cd … ma la musica adesso è liquida … fammi qualche nome… un’ora comunque non è proprio poco tempo anche se tempo professionale.
Preferisco gli ascolti live, e soprattutto gli incontri live, capire come nasce un progetto, e come si realizza pensandolo e provandolo: proprio i Fratelli Mancuso sono tra i miei amici prediletti, e anche il loro lavoro con il mio amico Marco Betta, il loro rappresentare il mare e il canto mediterranei, sono tra le cose più intense che ho sentito recentemente. Io poi sono uno che scrive, di musica e di altro, e quindi ascolto molto i testi che vengono cantati, anche nelle canzoni apparentemente più banali e pop: c’è spesso l’espressione di una sofferenza, d’amore in particolare, che mi interessa, l’ultima scoperta-rivelazione è stata per me la giovanissima cantautrice lituana Alina Orlova.

Eh così non vale, caro Daniele, io ti parlo di “stupidi” ascolti di “stupidi” pomeriggi a casa e tu mi vai al cuore della musica… è la stessa differenza di quando sei turista e cerchi di vedere quanto più possibile perché non tornerai in quel posto e l’andare in quello stesso posto spesse volte per un lavoro che vedi con occhio diverso… i Fratelli Mancuso…. Quando mi prendono gli “attacchi” mistici in macchina uso la loro PREGHIERA In cantu proprio per pregare… diglielo se li incontri, li ho ascoltati ad Ancona per lo spettacolo RUMORI DI ACQUE, bellissimo… niente su effimero&eterno in musica?
Io sono nella linea Satie>Cage>Reich: nel buddhismo zen tutto è impermanente, e tutto è nell’istante, quindi tutto è contemporaneamente effimero ed eterno; poche note, o il silenzio, o un muro ripetitivo di percussioni che impercettibilmente cambiano, come la vita, ci metto pure Gurdjieff e Scelsi.

– Urka … andiamo sul sofisticato (ma lo immaginavo, per questo ti ho chiesto un’intervista)… quindi niente Lady Gaga … d’altra parte se i tuoi ascolti sono prevalentemente dal vivo in molti casi è la prima volta che ascolti “quella” musica o comunque la prima volta che la ascolti in quella versione… sempre la differenza turista/viaggiatore… tu sei un viaggiatore… Dimmi di Gurdjieff, strano personaggio poco conosciuto (se non da Battiato che l’ha pubblicato come poteva).
È un po’ difficile dire cos’è musica buona e cos’è…, per dirla con Coleman. Per spiegarlo ci vorrebbero un bel po’ di parole critiche e alla fine finiremmo con una cattedra di popular music da qualche parte in Inghilterra o in Canada… poiché io sono un po’ antichista, settecentesco, dirò che è una questione di gusto. Di gusto e di idee, e di genialità. Una musica che abbia gusto idee e genialità può essere l’ultimo disco dei Radiohead o una nuova incisione delle suite per violoncello di Johann Sebastian Bach, il concerto alla Scala di Jarrett o una Gymnopèdie di Satie, Koyaanisqatsi di Philip Glass o i Tinariwen prodotti da Justin Adams, o un istant cd da un live degli Einsturzende Neubauten (e i 7 li ho detti). Ovvio, dietro ogni musica c’è un corso di studi e un sistema produttivo diverso, a tratti inconciliabile, ma questo è il bello della differenza. Noi che facciamo un giornale siamo i depositari di una selezione critica. Per questo oggi si comprano (poco, sigh) ancora i giornali: perché qualcun altro, di cui ti fidi, scelga e commenti per te qualche preziosità nel flusso dell’infinito. Siamo cercatori d’oro e facciamo un mestiere pazzescamente bello: raccontare le musiche che vale la pena ascoltare.
…questo mi sembra molto efficace, tratto da IL GIORNALE DELLA MUSICA che codirigi, mi viene in mente l’abominevole termine “contaminazione” che si usa spesso nella world music: ma la musica -l’arte in genere- non è tutta contaminata (direi in senso positivo non come si trattasse di una malattia contagiosa)?

Ah, dopo un po’ che leggevo mi sembravo troppo d’accordo: ero io! certo: citazione postmoderna, contaminazione, se pensi che Marcello Piras ha dimostrato che una Sarabanda di Bach derivava già da un ritmo africano arrivato in Europa dai Caraibi…  l’importante è non rubare ma condividere, collaborare.

Bellissimo essere d’accordo con se stessi… e condividere è “drammaticamente” (lo dico con ironia) la filosofia dei social network…
Certo: anche sui social network ci sono ladri che ti rubano post e idee e veri “soci” che ti condividono onestamente dichiarando la source del post: cambiano i media, mica la gente.

– Tutto questo nell’epoca in cui si sta superando il post-moderno…
Certo: dobbiamo andare al Victoria & Albert Museum di Londra: sta per aprirsi la mostra-mausoleo del Potmodernism…

Juri Giannini sul tuo giornale dice proprio che il postmoderno non è morto.
Non ho competenza filosofica e leggo come osservatore le polemiche filosofiche in corso, ma per quel che ho imparato del postmodern in arte, letteratura e musica, e che ha contaminato i miei scritti da vent’anni, non è detto che il nostro bisogno di atterrare sul reale, e sui corpi, significhi CREDERE NEL CONTEMPORANEO: chi ci crede? infatti siamo tutti a rotolarci nel vintage e nelle distopie…

Andiamo sul personale… come sei arrivato a tutto questo… studi, frequentazioni (Torino la tua città si presta molto)… passioni… e poi i casi della vita no?
Arrivato dove, al giornale della musica? a scrivere?

Sì, anche al giornale, ma soprattutto a usare le parole, fare critica, da ragazzo che musica ascoltavi, Licht di Stockhausen oppure il reggae o Mahavishnu (per me fu ”oceano sonoro” Orchestra Anton Webern a Venezia nel ’74, dopo John Mclaughing ascoltato in Olanda) che libri leggevi, hai sempre pensato che avresti scritto? 
Il mio primo cimento di critica giornalistica fu ai mondiali di calcio in Germania, 1974? Avevo 15 anni e mi ricordo anche la fascinazione per il logo WM74: per ogni partita, su un quaderno, scrivevo a mano cronaca e commenti, sdraiato a pancia in giù davanti alla tivù. Io sono Generazione TV, non Generazione TQ. Allora la Rai era molto buona, come programmazione, e io, ignaro di Zappa e dei Doors, ascoltavo Lucio Battisti e Delia Scala (“L’amore non è bello se non è litigarello”) e Celentano. Poi scrivevo poesia, ovviamente. Poi affiggevo poesie-tazebao per le scale del Liceo D’Azeglio durante il Movimento del ’77. Poi nel 1978 il corrispondente del “Manifesto” da Torino se ne andò alla CGIL per uno stipendio fisso: NESSUNO, con mio stupore, era minimamente interessato a scrivere per le pagine cultura e spettacoli di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri: di lì ho cominciato. Ovviamente ero un patito dell’opera lirica, da cui poi i miei libri su Puccini: questa era una tradizione di famiglia. E accompagnavo alla chitarra, con un giro di Do e poco più, le canzoni di Da André e Guccini.

Periodo interessante il ’77, ho molte riviste e volantini di quell’anno, a Roma era tremendo, a Lettere, durante l’occupazione, ho vissuto in prima persona la famosa cacciata di Lama, ho dormito nell’ufficio di Carlo Salinari, il preside di Lettere, sono un reduce, mo’ chiedo l’indennità.
Io ci ero dentro e ci credevo, ero del “Manifesto”, quindi un po’ alieno e snob tra l’ala dura e la mal digerita Fgci; quando, a un corteo, qualcuno si staccò e gettò una molotov in un bar “fascista” di via Po, bruciando vivo un ragazzo, la mia militanza politica finì per sempre. Non sono in grado di reggere la realizzazione violenta di pensieri rivoluzionari. Non ero e non sono in grado. Così da allora sono “politico” in quello che faccio, ma non faccio più politica, quando rapirono Aldo Moro, ero ancora tra i responsabili del Movimento al D’Azeglio: fermammo subito tutto, entrammo subito in assemblea permanente: avevamo capito subito che era finito tutto, è così che sono passato dalla politica alla scrittura, nel 1978.

E adesso? È tutto un fare cose letalmente pericolose da inesperti: shibari, figli, blog, letteratura, politica? (come scrivi in un tweet sul tuo profilo).
Io le faccio da esperto.

Ah ecco… shibari come L’uomo chiamato cavallo uno dei film cult di quegli anni? cosa raccontare ai figli? la letteratura che piega sta prendendo? Domandone eh?
Sei pazzo? Sono con mio figlio di 10 anni e stiamo ragionando su: a) compagna traditora b) acquisti pubblicitari compulsivi. Il da dire non manca! Posso dirti che gli ultimi libri che sono riuscito a finire sono: Wallace, McCarthy, Scelsi, italiani: Francesco Piccolo, Giorgio Falco, Giulio Mozzi (nel senso che Scelsi, noi italiani che lo abbiamo ignorato emarginato e sbeffeggiato, non ci meritiamo di definirlo italiano). Anche Kazuo Ishiguro a Antonia Byatt, tra gli scrittori, che grande scrittura cambiano la nostra piccola percezione della vita poeti: Les Murray, Fernando Pessoa… ah, dimenticavo: il libro più sconvolgente che abbia letto nelle ultime settimane è “Vergogna”, di Coetzee.

Hai espresso un concetto fondamentale per l’arte in genere, la scrittura che cambia la piccola percezione della vita, l’universo parallelo, guardare avanti con l’arte diciamo applicata (soprattutto almeno per me quadri), rileggersi nella letteratura o in poesia (soprattutto o quasi spesso in poesia)…
Un saggio indefinibile che rileggerei sempre: “La riva fatale. L’epopea della fondazione dell’Australia”, di Robert Hughes  Ma sì, a cosa ci servono i piacioni che ci ingannano con i loro specchi narcisistici? Roba per signorine di tutte le età. Un saggio meraviglioso che mi ha fatto venire voglia di cambiare città è “Istanbul”, di Orhan Pamuk. Poi Istanbul l’ho vista, e ci sarei rimasto. E oggi la Turchia è il più interessante Paese del Mediterraneo, con l’uomo politico più abile e strategico.

Che dici di quanto sopra espresso da me? Nel tuo blog fai anche il critico letterario… ecco, il blog, l’account su twitter, fb, insomma i social network, tu usi tutto… che tipo di comunicazione è? Diventa una quotidianità virtuale alternativa alla vita vera? Come si integra?
…pensavo di chiudere sui ragionamenti con tuo figlio… gli autori letti sono un bel segmento però…

Ovviamente un libro di carta nelle librerie ci sembra ancora l’unica cosa vera, e una recensione sul Sole24Ore, sul Corriere o su Repubblica l’unico vero riconoscimento: ma io avevo bisogno di entrare in contatto con chi fa il mio lavoro, sentire cosa sentono, ed esprimermi con loro; non è nato come ricerca affettiva, ma in realtà la condivisione è comunque un veicolo emotivo: non c’è corpo, ma non mi pare virtuale

Perchè etsushindam? ho trovato un tuo diaries, ho googlato il nome e ci sei solo tu… belli i tuoi “lui&lei” (sempre prima l’uomo mi raccomando)
Etsu Shin è il nome che il mio maestro zen mi assegnò nel 1997 ordinandomi bodhisattva: accoglieva la mia intenzione, il mio voto di divenire finalmente felice praticando come il Buddha: Etsu=felice Shin=Spirito, le mie iniziali di sigla giornalistica=DanieleAngeloMartino… lui e lei… non è vero! spesso attacca lei: adesso ho rieditato la serie, che ho cominciato per scherzo a luglio, e ci sono un sacco di lei e lui: le lei non stan mai zitte!!! Attaccano senza tregua! Non si stancano maaai

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1 commento a “Tre poesie inedite e un’intervista a Daniele Martino

  1. Mi è piaciuta, anche se da incompetente musicale, molti nomi non li conosco. Ma è un buon motivo per approfondire.

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