Il curioso delle donne: Alberto Bevilacqua torna tra noi

Alberto Bevilacqua

“Il curioso delle donne. Alberto Bevilacqua, l’uomo, l’artista”, con l’attrice Paola Lorenzoni (che è anche ideatrice del progetto) e la regia di Sergio Basile, è un’opera teatrale intensa, ben calibrata, che restituisce pienamente la versatilità di Alberto Bevilacqua a poco più di un anno dalla sua morte. Le musiche sono di Concita Anastasi, le scene di Simonetta Baldini, i costumi di Saverio Galano, il disegno luci di Pietro Sperduti, le riprese video di Paola Mengoni e le foto di Tommaso Le Pera. Non dimentichiamo che Il curioso delle donne è uno dei romanzi più noti dello scrittore, dato alle stampe nel 1983 da Mondadori. C’è una frase, in questo libro, che si attaglia perfettamente allo spettacolo: “I nascondigli di una casa sono infiniti. Più credi di conoscerla, più ti accorgi che nasconde nascondigli. Sto saccheggiandola da cima a fondo per reperire quanto non è andato disperso. Via via che lo ritrovo, suddivido il materiale in cartelle. Intesto ogni cartella servendomi dei matitoni. Le più sorprendenti, le grandi amanti, le sanseverine, le donne dei miei viaggi, le gelose, le più intelligenti, le favolose, le oscene, le mie attrici, le misteriose, e via dicendo”.

Nei suoi ultimi anni di vita Alberto Bevilacqua, in tandem con Paola Lorenzoni, aveva selezionato alcuni ritratti di donna estrapolati dai suoi romanzi più celebri, o quanto meno ad essi ispirati: La Califfa (1964), Una scandalosa giovinezza (1978), I sensi incantati (1991), Tu che mi ascolti (2004), L’amore stregone (2009). Un montaggio teatrale a cui lo stesso Bevilacqua diede un titolo provvisorio, “Unità d’Italia”, immaginando, provocatoriamente, una sorta di avventura esistenziale delle molte sfaccettature che, in primis, la dirompenza dell’eros femminile ha offerto nel quadro storico e geografico del nostro paese.
E’ complesso parlare di Alberto Bevilacqua dopo tanta prolificità e stando alle quantità inesauribile di materiale che ha lasciato, soprattutto scandagliando nell’animo dello scrittore e unendo, come in un’ipotetica simbiosi, la genesi della sua vita con quella della sua inventiva, quindi con la “letteratura dell’esperienza”, dove una parte determinante ha senz’altro assunto il ruolo della donna, sin dall’infanzia.

Paola Lorenzoni

Paola Lorenzoni, artista di valore nel panorama nazionale, ha ricostruito alcune vicende narrative e il significato estrinseco del rapporto amoroso dandogli un significato universale nel quale Alberto Bevilacqua si era certamente riconosciuto. Perché le sue donne hanno attraversato quasi un secolo, con usi e costumi, mode e tendenze che contraddistinsero l’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi. Lo spettacolo teatrale, per ora l’unica posterità venuta a galla dopo che l’autore parmense se ne è andato, segue un cronologico racconto scandito da episodi e composizioni estemporanee, rapsodiche. L’attrice protagonista va a trovare uno scrittore nel suo appartamento. Egli non manifesta la sua presenza se non con improvvisi squilli di telefono, ronzii di interfono, brani musicali registrati, immagini proiettate, colpi di tosse. Appartato in una stanza al secondo piano (viene da pensare proprio al superattico di Bevilacqua a Vigna Clara, dove dal terrazzo vedeva Roma) l’uomo comunica con la sua visitatrice attraverso l’occhio elettronico di una telecamera. Si scoprirà che ha disseminato lo spazio di elementi eccentrici, prove da superare, enigmi da risolvere, alla cui soluzione, attraverso un viaggio imperniato sulle donne dei suoi romanzi, invita l’ospite. Come Alice, la visitatrice affiancherà in prima persona l’universo letterario di Alberto Bevilacqua dando vita ad un viaggio iniziatico che la porterà ad avere il permesso, finalmente, di salire la scala che la divide dallo scrittore e di incontrarlo.

L’eros è un tema che Bevilacqua ha portato dentro da sempre. Quando si vive “alla brava” lo si scopre negli ambienti più infimi. Suo padre fu epurato e la famiglia sbattuta a vivere fra due case di tolleranza. Ma in quell’ambiente qualche donna si prese cura di lui, bonariamente. In Oriente c’è una visione dell’erotismo diversa da quella occidentale. In Occidente l’uomo si accoppia alla donna oziosamente, in Oriente prevale il dominio della sensualità che porta all’ebbrezza. Era questo che interessava ad Alberto Bevilacqua: il transfert dello stesso tipo di quello dei sensi e che si attua nel momento della scrittura. Certo, ci rimane impressa, più di tutte, la bellissima Romy Schneider nel film La Califfa: una seducente ragazza di origine popolare, l’amante dell’industriale più potente della città, un’effigie di donna libera e a suo modo innocente. La Califfa, un’amante schietta, tutta anima, capace di un’azione riflessiva e di una seduzione mai volgare. La slandra, che il capo desiderava, era anche “la donna da rifiuti”, eppure da tutelare perché intelligente, dotata di una carità cristiana contro tutti coloro che facevano orecchie da mercante.

Paola Lorenzoni, nel suo spettacolo, ci dimostra ciò in cui Bevilacqua credeva profondamente: la donna è una dotazione di mistero che ci viene da una condizione primordiale e dalla sfera del ricordo, sempre accesa, come fosse una lampada che sorveglia dall’alto il nostro agire e quello degli altri. La donna è immagine innanzitutto, tradotta in evocazione e ambientazione. Esiste dunque la donna dei luoghi (domestici e urbani, specie della provincia), degli affetti familiari (la madre, la nonna), della comunione tra i vivi e i morti che rappresenta il filo conduttore di una tensione lirico-narrativa. E ci torna alla mente un passo iniziale di La Califfa, emblematico: “Il mio dolore era come la voglia dei gatti, quando li prendono i bisogni, che non li fanno se qualcuno li guarda. Almeno lì nell’erbaccia, se non resistevo più, potevo sfogarmi a piangere, no? A casa mia, che avrei fatto? Tra quell’armadio, quelle seggiole spagliate, quel letto senza sostegni, messo a fior del mattone, che se mettevo la testa sul cuscino, adagio come per ascoltare, mi pareva di sentirlo ancora l’odore di quella creatura che c’era morta sopra”.

Ma nello spettacolo teatrale non c’è solo la tensione drammatica dello scrittore e delle sue proiezioni creative. Infatti, come è stato scritto, emergono delicatezza e ironia, senza alcuna autoreferenzialità o autocelebrazione. Due donne, una casa disordinata e affollata di libri e dischi. Il rumore duro, marziale, nervoso delle dita sulla macchina da scrivere. Voci registrate che si rincorrono continuamente. Questo è l’incipit della pièce ideata da Paola Lorenzoni e da Alberto Bevilacqua, che purtroppo non ha fatto in tempo a vederne la messa in scena.

Non dimentichiamo la chiave misterica della scrittura nata dalla cosiddetta narratività orale degli Strioni, considerati dei maestri del raccontare. Strioni che si nascondevano nella nebbia, che secondo le dicerie popolari erano i maghi delle leggende, che camminavano nella vastità che scompagina le dune sabbiose del Po. Si muovevano a gruppi festosi. E nei nebbioni i raccontatori portavano i loro carrozzoni e le loro storie in mezzo ai fuochi dei grandi inverni. Si spostavano dal nord al sud, ed “erano tante cose insieme”, scrive Bevilacqua nel suo metaracconto Viaggio al principio del giorno (2001), in cui alterna prosa e versi: “Mia madre, e la madre di mia madre, amavano gli Strioni, maestri di prodigi, che qui regnarono, e la loro Lingua della Leggera, che qui nacque per espandersi in tanti gerghi e dialetti, e i loro circhi erranti e favolosi, davvero le mille e una notte, tanto che anche il circo di Cent’anni di solitudine, che approda a Macondo, quasi per certo si ispira a uno arrivato da Po in terre colombiane, e chi non ci crede chieda all’autore, che un giorno gli amici portarono fra questi argini, di fronte a queste acque”.

Me lo immagino ancora davanti agli occhi, l’amico Alberto Bevilacqua, che al tavolo di lavoro osservava la “città eterna” allungarsi in tutta la maestosità di tetti e “dismisure”. Il quartiere dove abitava era come un piccolo paese, in cui quattro passi bastano alle cerimonie mattutine come comprare i giornali e bere il primo caffè. Gli occhi cadono a strapiombo di sotto e i volatili fanno sosta su quei balconi. A Paola Lorenzoni, così come ad altri, Bevilacqua avrà parlato dei misteri padani in cui separava, doverosamente, gli aspetti più allegri da quelli cruciali, drammatici. Le storie, in Emilia, nascevano da un’arte sottile che poneva la realtà in risalto servendosi di lati insoliti. Il sorriso degli amici contrastava con la solitudine, con la malinconia di quando si tornava a casa da soli, nella provincia dell’anima. Due facce della stessa medaglia, come la scena e il retroscena. Esisteva, in Emilia, un’arguzia nativa che Bevilacqua chiamava arlìa, una presa in giro del mondo attraverso certi individui. Del resto si è sempre servito della lingua nata dalle strade e del dialetto del fiume Po, intessuto di lingue assimilate negli ultimi due secoli, la spagnola e la francese, soprattutto. Si trattava di parlate fluviali inventate dai barcari, dagli erratici, dai cercatori d’oro. La poesia policroma del Po è di una sensibilità profetica che passa per la pelle, di un’emotività che è servita allo scrittore e ai suoi personaggi specie in Viaggio al principio del giorno.

Nello spettacolo di Paola Lorenzoni questi elementi sono condensati, ritrovati e forniti allo spettatore con un intreccio ritmico e un’amplificazione di sguardi, parole e suoni. Il bisogno del regista Sergio Basile è di riconoscere un affetto e di rincorrerlo nella presenza-assenza. Alberto Bevilacqua lascia immaginare una voce eterna come fosse un’idea anarchica, una delle tante. La varietà di corpi e volti si tramuta in simulacri e il sillabario in una visita d’amore, in una traversata, in un ascolto. Un sapere nascosto nell’ombra, nell’immensità celata dall’immaginazione. La sapienza chiude gli occhi, e chissà che l’umanità non abbia delle buone ragioni per meravigliarsi ancora con Alberto Bevilacqua. La memoria parla nel tempo, ed è come se “Il curioso delle donne. Alberto Bevilacqua, l’uomo, l’artista”, avallasse la memoria del futuro: un calcolo umanissimo e infinito.

Alessandro Moscè

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1 commento a “Il curioso delle donne: Alberto Bevilacqua torna tra noi

  1. Ho visto lo spettacolo “Il curioso delle donne” e l’ho trovato perfetto per Paola, qui davvero nel pieno della maturità espressiva. La donna (la visitatrice), le donne, non soltanto un’idea, ma la realizzazione piena dell’espressione scenica, nella sintesi, tra parola letteraria e azione. Come dire che il furore della scrittura prende corpo, si muove, è azione, le pause, i movimenti, la voce, il rumore, la musica. Lo scrittore non si vede, ma ascolta, tutta la casa è una fucina intellettuale e di sentimenti. Il teatro rende visibile l’invisibile e il non detto, i pensieri prendono forma. In questo percorso Paola Lorenzoni dà vita a un’idea, così il suo progetto teatrale, concepito con l’autore, diventa presenza dell’autore tout court. Bevilacqua è in scena grazie a lei, nel lavoro assiduo sulla parola, l’artigianato della macchina da scrivere, le immagini di una società letteraria che scorrono sullo schermo, talvolta rare, Alfonso Gatto ad esempio. Bravo il regista Sergio Basile, che dà anche voce a Bevilacqua, brava anche Viviana Polic (Albina).

    Alberto Toni

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