di Davide D’Alessandro
L’essere umano, quando si verifica una tragedia, va immediatamente a caccia di risposte, di soluzioni, di giustificazioni. Vuole razionalizzare l’irrazionale. Chiede, in fondo, di essere rassicurato. È accaduto anche la settimana scorsa, dopo la notizia dell’aereo precipitato a causa del suicidio di Andreas Lubitz, il copilota che ha deciso di farla finita trascinando con sé altre 149 persone. Risuona un gigantesco perché. Com’è stato possibile? Era un terrorista? Era malato? Era depresso? Era psicopatico? Diteci che era qualcosa, perché altrimenti l’essere umano resta sconvolto, paralizzato. Così, i giornali hanno ospitato e continuano a ospitare interviste a psichiatri, psicologi, psicoanalisti, medici della mente, tutti a dare risposte al gigantesco perché. Sono risposte che tentano di dare spiegazioni, di rassicurare, ma non soddisfano. Perché, con l’essere umano, a quel gigantesco perché non c’è alcuna risposta. L’abisso dell’essere umano è insondabile, un enigma avvolto nel mistero. L’essere umano lo sa ma finge di non saperlo. Uno psichiatra dice che il depresso può uccidere, un altro lo smentisce e dichiara che il depresso si uccide senza condurre altri alla morte. Tutto e il contrario di tutto. Le parole più giuste le ha trovate Marcello Veneziani che, non essendo per fortuna psichiatra, è un semplice giornalista-scrittore, un uomo abituato a lavorare con le parole. Ha scritto del dolore, del dolore del padre di Andreas. Un dolore insostenibile. Il resto è silenzio. Ci sono domande ma non ci sono risposte. L’uomo, io-tu-egli-noi-voi-essi, è problema senza soluzione.