Umberto Piersanti intervistato dal clanDestino

Il clanDestino, rivista online che si occupa di poesia, diretta da Davide Rondoni, ha intervistato il nostro Umberto Piersanti.

L’intervista è a cura di Davide Tartaglia e verte sull’ultimo libro di poesie di Piersanti, “Nel folto dei sentieri” (Marcos y Marcos, 2015)

Umberto Piersanti

Davide Tartaglia: “…Umberto, da quale esigenza viene fuori questo libro? C’è, ancora, qualcosa di necessario da dire che può essere affidato alla poesia?”

Umberto Piersanti: “Se qualcuno mi chiede ‘perché scrivo’, rispondo che si scrive per non morire. Scrivere è innanzitutto un atto di vita. Non si scrive per la fama – qualsiasi mediocre cantautore è più famoso di ogni poeta contemporaneo -, si scrive per il bisogno di tracciare un segno, di far uscire da te delle parole affinchè raggiungano gli altri. Questa pulsione è uguale a quella di chi scrive ‘Lucia ti amo’ nei muri di una casa in campagna, o la stessa che ha mosso Dante ne La Commedia, ovviamente con esiti nemmeno paragonabili. Dunque io scrivo perché devo scrivere, per una fedeltà alla mia vocazione. Io sono un poeta ‘di natura’. Cosa vuol dire ‘essere di natura’? Tutti i poeti possono nominare un albero per le strade di Milano. Essere un poeta di natura vuol dire che la natura non è mai uno scenario, uno sfondo, ma è qualcosa che si vive in maniera totale, profonda. Nel mio caso c’è un approccio, una congiunzione totale tra vita e scrittura, che non sempre c’è e non è detto che ci debba sempre essere. Per esempio, nel caso di Montale, come racconta la Spaziani, il sambuco entra nella poesia solo per una scelta prosodica, di suono. Invece il mio bisogno di mordere la terra, di controllarla, di vederla, di sentirla, di percepirla è totale, rimanendo però lontano da qualsiasi dimensione ecologica, dunque da un’’ideologia della natura’. Infatti, la mia natura appare anche in tutte le sue crudeltà: l’aquila che stringe il coniglio con gli artigli, il serpente ucciso, l’uccelletto che nei primi giorni di vita cade dall’albero ed è inghiottito dalla serpe, e, allo stesso tempo, la natura osservata nella sua spettacolarità magica e totale. La mia natura è vissuta il più delle volte sotto forma della memoria, la quale le conferisce un tratto mitico e si confonde con la leggenda di un vivere che non va a cercare gli dei – come potrebbe fare un Conte – ma che trova, nelle figure, nei personaggi, nei luoghi, il mito stesso della sua vita e della sua scrittura”.

Per leggere l’intervista integrale: questa pagina.

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