Francesco Scarabicchi: una voce spoglia d’ogni gravame

Francesco Scarabicchi e Umberto Piersanti

Di rado l’aspetto, insomma la figura e il volto di un autore, sembrano combaciare con la sua scrittura. Un garbo nei modi al quale fa riscontro una voce di raffinata e intensa misura, una parola non scavata, ma spogliata di ogni possibile orpello. Nel caso di Scarabicchi io questo rapporto lo vedo e lo avverto quasi istintivamente, prima di ogni analisi, di ogni discorso critico.

Una parola, la sua, limpida e alta, capace di cogliere ogni particolare del reale, dal riflusso dell’onda marina a ogni più sottile e vibrante emozione. Si è parlato di un’attenzione alla misura minima delle cose, ma dobbiamo precisare questo concetto.

Nulla accomuna Scarabicchi al “quotidiano” di certa poesia contemporanea, lombarda ma non solo: nel poeta anconetano il “particolare” è “la fibra” che sottende il reale: coglierlo, cogliere le sfumature, significa comprendere “quasi ontologicamente” l’essenza del reale, la sua verità più profonda: epifenomeno come spia di quel noumeno che tutto sottende.

Guido Monti ha riportato in un articolo sul Manifesto questa frase che gli è stata detta da Francesco Scarabicchi:” Solo chi è attento al flebile battito del mondo, può dire qualcosa dell’uomo”.
La trovo una frase bellissima che da sola ci rivela molto più di tanti discorsi la weltanschauung del poeta anconetano.

Il senso della fine, della scomparsa dentro nebbia e polvere, è un sentimento che percorre l’opera di Scarabicchi: non è mai urlo, rifiuto gridato, ma una malinconia pervasiva che pure non intacca l’amore per la luce; una luce costante e colta con straordinaria intensità: “questa luce che tocca ottobre e il mondo”.

Nella vicenda di Francesco Scarabicchi l’amicizia ha avuto un posto di grande importanza: allievo e amico di un altro grande poeta marchigiano, Franco Scataglini. Sodale di un intellettuale e critico letterario di assoluta rilevanza, Massimo Raffaeli.

Accanto alle tante raccolte tra le quali citiamo Il prato bianco, uscito da L’obliquo nel 1997 e ristampato da Einaudi, Nevicata, Il cancello, tutte motivate e mai affrettate, la sua opera di traduttore di Machado e di Lorca. E poi l’attenzione grandissima per le arti figurative: notevole il lavoro fatto sull’amatissimo Lorenzo Lotto, il pittore veneto che nelle Marche per tanto tempo è vissuto ed ha operato.

Francesco Scarabicchi ha fatto molto per le Marche e, in particolare, per Ancona, sulla quale ha scritto pagine straordinarie.

Conosceva benissimo i grandi incisori della scuola urbinate.

C’è uno scrittore fanese, Fabio Tambari, che è stato notissimo negli anni trenta, quaranta ed oltre ed oggi è piuttosto dimenticato. Aveva avuto anche traversie politiche.
Parlando con Francesco ho scoperto che lo conosceva benissimo, deve avere anche scritto su di lui.

Ecco, questo dovere della memoria, dell’amicizia, del rapporto per nulla retorico con la propria “patria poetica”, ha sempre contraddistinto il poeta, il grande poeta e l’uomo Francesco Scarabiccchi.

Umberto Piersanti

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