Suggestioni Postmoderne di Maria Rita Bartolomei

di Rossella Frollà

Maria Rita Bartolomei
Suggestioni Postmoderne
Percorsi insoliti di Antropologia Giuridica
Gioacchino Onorati Editore, 2020

«Ho letto con piacere questo libro di Maria Rita Bartolomei e con piacere scrivo questa prefazione, anzitutto per riconoscere i meriti dell’autrice che, vincendo difficoltà d’ogni genere, coltiva da molti anni con grande pervicacia interessi scientifici sul crinale fra sociologia del diritto e antropologia giuridica, con prevalente attenzione verso quest’ultima disciplina che in Italia conta ancora una meno forte istituzionalizzazione accademica di quanto sarebbe necessario.» (Vincenzo Ferrari).

Lo scopo di questo libro è quello di rintracciare «i significati culturali insiti nella capacità disciplinante del comportamento umano da parte del diritto, e dunque l’utilità di un approccio antropologico allo studio dei fenomeni giuridici,». «il lavoro sottolinea l’importanza dell’immaginario giuridico individuale e collettivo nel promuovere un impegno responsabile di tutti i consociati.». Affascinante il ricorso al «principio di reciprocità» che ha il compito di dirigere gli attuali assetti democratici verso una maggiore uguaglianza e giustizia sociale. I temi che attraversano questa opera sono la tratta di esseri umani, la risocializzazione dei detenuti, il femminicidio, il pluralismo giuridico e lo spirito del dono. Quest’ultimo insieme ad una attenta riflessione sulle gravi problematiche che affliggono la società potrebbe lenire le inefficienze e le incongruenze del sistema giuridico italiano. L’attenta descrizione di condizioni, situazioni, culture oltre a favorire una buona conoscenza antropologica svolge un ruolo pedagogico, etico e politico nei confronti del singolo e della comunità.

I temi legati a società diverse per cultura e grado di sviluppo economico vengono analizzati individuando in ciascuno il carattere proprio di vulnerabilità, sia nella sfera individuale sia in quella relazionale.
Protagonista è dunque la vulnerabilità degli esseri umani e del sistema. La Bartolomei offre una ricostruzione storica dello sviluppo dell’antropologia giuridica come scienza sociale e ne mette in luce modelli interpretativi «quali il transanazionalismo e il paradigma dell’interconnessione». L’interesse si focalizza sulla sfera transnazionale dei diritti umani «dei quali l’autrice coglie bene non solo le potenzialità ma anche le contraddizioni, in primis quella fra i regimi di personal law che rendono sempre più discrezionale il principio di uguaglianza.

I fenomeni considerati hanno un grande significato antropologico giuridico, sociologico, politico ed economico e rappresentano il volto di un sistema in bilico. I crescenti processi migratori, il dominio del capitalismo globale esercitato dai pochi, la criminalità transnazionale, l’individualismo sfrenato narrano di situazioni di emergenza e svelano il volto egotico dell’umanità.

La tratta di esseri umani comporta una disuguaglianza che diventa multidimensionale e transnazionale: «è questo il fenomeno deviante più grave, pervasivo, redditizio e emblematico dei tempi che stiamo vivendo». I forti flussi migratori di portata globale danno origine a una vera e propria «forma postmoderna di schiavitù» e, nel contempo, una mancata corrispondenza tra gli strumenti giuridici nazionali e quelli internazionali favorisce i circuiti criminali. Significativa, scrive la Bartolomei, è la risposta del volontariato che offre «un prezioso lavoro di prevenzione, di assistenza e di contrasto al fenomeno». Lo studio dell’autrice si focalizza sulle «caratteristiche strutturali socio-economiche e culturali dei contesti sia di reclutamento che di sfruttamento cui appartengono donne e bambini delle fasce più povere della popolazione mondiale.

La condizione carceraria che secondo l’art. 27 della Costituzione ha lo «scopo rieducativo della pena come principio fondamentale» evidenzia allo studio dei fatti «l’incapacità del sistema punitivo attuale di realizzare contemporaneamente sicurezza e giustizia».
La Bartolomei insiste nella necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica sui concetti di uguaglianza e di giustizia che non possono prescindere dal rispetto universale della dignità umana e dei diritti fondamentali. Né si può prescindere dal passaggio che va da una visione contenitiva ad una riabilitativa e che, dunque, presuppone la possibilità di «umanizzare» la pena detentiva. Nel tentativo di abbattere il “pregiudizio” vi è una connotazione semantica non solo in ordine all’importanza di fondare il “dopo” la detenzione e le sue nuove relazioni col mondo esterno ma anche in ordine al problema bruciante della identità a volte persa, cancellata, sofferta, rifiutata. Lo scopo per l’autrice è quello di trovare in queste anime perse il dono delle risorse che sono date a ciascuno. E nella storia dell’anima e nella storia della vita della persona si fa strada il riconoscimento di sé come una voce che non muta nel trascorrere del tempo ma si ascolta nella sua nuova vibrazione capace di cogliere la riconoscenza e l’opportunità di un sano reinserimento anche lavorativo nella società.

Il recupero del sé è parte integrante del progetto Corso di dignità e diritti che la Bartolomei ha realizzato nel Carcere di Ascoli Piceno. Nel progetto di studio sono stati inseriti 25 detenuti e sono stati accompagnati in «un percorso di crescita personale e di ristrutturazione identitaria». Lo schema pedagogico-educativo seguito costituisce il proprium del lavoro, funzionale ad abbattere i tassi di recidiva. Lo studio, scrive la Bartolomei, ha permesso di conoscere la coscienza giuridica dei detenuti e quel mondo carcerario che nel quotidiano si sente come lontano, ostile e pericoloso. Uguaglianza e giustizia tessono in questa opera «un’etica della razionalità condivisa», entrambe fondate sul principio della solidarietà.

Una forma estrema di violenza è il femminicidio come fenomeno sociale oggi molto rilevante. Escono fuori da questa analisi le gravi risonanze di violenze e di abusi, il sommerso di un mondo discriminante da troppo tempo sottostimato. Troppo spesso si sottovaluta la capacità predittiva dei segnali che emergono da una diffusa cultura del silenzio. È questo un processo quotidiano di violenze, e non un atto, scrive la Bartolomei. «si sviluppa purtroppo nella solitudine e nell’estraniazione, ove rileva, tra gli altri fattori, anche la «demenza digitale». «Se da un lato – annota significativamente l’autrice – «la rete accorda all’uomo il potere di “estendersi” al di là della propria finitezza sensoriale (fisica e geografica) e lo rende cittadino del mondo», dall’altro «ne rafforza il senso narcisistico di onnipotenza», fino al punto che «[l] ‘uso eccessivo delle risorse digitali modifica il senso reale delle cose, innescando un processo concatenante che neutralizza l’individuo come soggetto cosciente» (Vincenzo Ferrari, Prefazione). Urge una «trasformazione valoriale e culturale, sia individuale che istituzionale, della coscienza giuridica». Occorre raggiungere il fenomeno alla sorgente, lì dove si annidano i fattori di rischio e l’invisibile grave delle coscienze si alimenta in favore dell’atto.

Alla logica competitiva dell’homo oeconomicus, al pluralismo giuridico e alla «mercantilizzazione del mondo» l’autrice contrappone il «principio di reciprocità». Coniugare la complessità sociale con questo principio oggi è più che mai doveroso. L’«estrema differenziazione funzionale dei sistemi sociali», alla base delle società economiche più sviluppate, creano tensione e conflitto tra gli stessi ma anche la necessità di considerare i concetti di «inter-normatività, intergiuridicità e interlegalità».  Si va forse verso una «meta-norma dell’ordine giuridico mondiale in fieri.». Si va verso quel «principio di reciprocità» che supera la «totale “mercificazione della vita e del mondo”». L’aspirazione dell’uomo è orientata verso una «giustizia globale», verso un ordine giuridico mondiale.

Questa opera è un’autentica testimonianza dei gravi e complessi fenomeni che attraversano il mondo, supportata oltre che da una ricca bibliografia anche da un grande senso di umanità e riferisce tutto il valore ontologico dell’etica e di quelle risonanze morali che si esprimono nel contraddittorio bene/male. È la cosa più assennata che si sia potuta fare per stimolare la riflessione su uno scambio egualitario in cui l’assetto valoriale sia il punto di forza per una integrazione teorica e metodologica dei diversi approcci scientifici, per lenire l’affanno delle distinzioni burocratiche. E, dunque, la Bartolomei ci racconta in modo scientifico e umano la vita e attraverso gli occhi degli uomini ci fa intravedere qualcosa, qualcosa di essenziale nella persona che è dinanzi a noi.

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