Noi giganti siamo rimasti in pochi,
circondati da uomini piccoli,
dolcissimi, ma senza ombra.
Alcuni ci graffiano rabbiosi le caviglie,
altri ci ignorano, fingendo di dormire.
Ma a noi giganti non ci va mica di partire.
La terra che ci è data è già misericordia,
gravida di frutti e soli del mattino.
E quando piove pare ancor più bella,
come una sposa quando sogna.
Abbiamo figli e una ricchezza
di doveri che è tutta la nostra libertà.
Non abbiamo paura del dolore
o dello spettro luminoso del silenzio.
E se la notte si muovono i fantasmi,
ci chiamiamo per nome, uno a uno.
Allora ci abbracciamo come capita,
nel buio. E mentre agli uomini
treman le vene ai polsi, noi giganti
continuiamo a camminare, robusti
nelle gambe, controvento e nella
bruma pronti a immaginare.
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I pastori venivano dalla campagna
romana all’inizio dell’estate,
di notte, lungo la via Valeria.
In capo i muli, le greggi e quindi
ragazzi silenziosi con i lumi
a petrolio. A quel tempo l’altopiano
era coltivato a grano, si doveva
salire ai monti per i pascoli
aperti e verdi e non si scendeva
mai, fino a settembre. Allora
si dormiva tra le greggi, recando
in spalla una capanna di rami
teneri di nocciolo. Intrecciati
come un cesto facevano riparo
solo per un corpo che a notte
si sdraiava e s’assopiva. Un occhio
tra le stelle, l’orecchio attento,
perché a quel tempo la montagna
era regno ancora di lupi e di misteri.
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Erano accampati a ridosso della frontiera
i briganti del regno dei borboni.
Una grotta, ora ricovero al bestiame,
affianco al letto secco del torrente.
Ci siamo già passati, ricordi, tanti anni fa.
Mio padre ha parcheggiato lungo la
provinciale, all’altezza della pietra di confine,
dov’è ancora il fregio dello stato pontificio.
Poi lo spiazzo al fontanile e ancora camminare
tra pietre asciutte. Il sole s’abbassava sopra
al monte e tutti gli animali respiravano in silenzio.
In terra sterco secco e paglia abbandonata,
il traffico nascosto alle foglie dell’estate.
Avrei voluto incontrarli, quei briganti,
avere un po’ paura e chiedere cosa si prova
a fingersi cattivi e predatori. Ma ormai
nessuno più si può nascondere,
perché la vita svela più di quel che copre.
E non c’è bosco che possa più ingannare,
non c’è mistero, non c’è confine.
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Ricorda la profezia,
rivelata durante una festa
nell’ultimo anno delle superiori.
Avrei voluto conservare
l’idea del mio futuro,
ma non era possibile.
Il mio amico disse
che era meglio andare,
ma io volevo rimanere e aspettare.
Poi tutto s’è avverato,
la vita come il vino
presa con misura e il pane
e tutto quel rumore dei giorni
masticati a strappi, di speranza.
Ora tutto è compiuto,
senti come picchia il buio
contro la tenue luce della finestra,
le parole usate per confondere
la lontananza. Solo
la grande neve dell’ottantacinque
ha reso tutti più belli,
per una settimana, almeno.
Nicola Bultrini
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