Recensione di Light Stone di Paolo Lagazzi

di Rossella Frollà

Paolo Lagazzi
Light stone
Passigli Editore, 2014

Potrei dire di questo libro lo stesso di un mobile in stile: elegante, raffinato, poetico, impreziosito dalla bellezza del sentire, intagliato con mano ferma e leggera. Ci si alza dalla poltrona con i sentimenti che ci vengono incontro, i «piccoli inchini» di un Sol Levante che d’amore spoglia gli ultimi ciliegi. «L’impareggiabile tocco nipponico» si posa su ogni cosa, in battere e in levare, lontano spesso dal pensiero in un finissimo filo d’aria che intesse gli accordi di un incontro. Si legge la fame di vita ingenua, sudata, ancora adolescente intrappolata nell’anima. E i battiti alterni dell’amore e dell’assenza sono l’unica fuoriuscita imprendibile e imprevedibile. Il sogno in bilico ha bisogno di uscire da sé e di allungarsi sulle giovani braccia che portano alla passione, allo spasmo magico e sconvolgente, alla meraviglia di una seconda età. Torna l’incanto della giovinezza in una forma di innocenza che non pesa nulla e si abbandona alla «semplicità di Shoko», «alla fatale malizia degli occhi a mandorla», alla sua «fresca bellezza». Shoko è al di qua delle «voci e dei sussurri dell’immensa foresta umana», dietro i separè di camelie, iris, struzzi, orchidee. Polisemia d’argento la magrezza delle braccia alla luna, di un corpo che «s’indovinava slanciato e lieve». L’innocenza riveste il mistero cieco del mondo. Un brindisi con lei e la prima manciata di giorni giapponesi è stata una breve promessa di felicità come avrebbe potuto dire Stendhal (uno degli scrittori prediletti dall’autore). Quella creatura aveva fatto di un attimo una strada senza ritorno.

Francesco gettò l’amo e nella e-mail ebbe la prima delle tantissime risposte che avrebbero segnato il cielo, «leggere e tenaci come libellule in grado di compiere trasvolate oceaniche». Fu lui, statico e costante a seguirla nel suo volteggiare come «un profano in campo ornitologico di fronte alla libertà di movimento delle cicogne».
Questo narrare delicato mi porta una brezza, qualcosa di speciale che va oltre gli scritti sintetici e appuntiti delle aride civette che si sentono ovunque. C’è un incanto che muove il sentimento attraverso i mari. Una traccia brevissima fatta col gesso si fa sempre più lucida, «cocente passione», punta di freccia nella carne.

Finalmente la coscienza della verità afferra il dono meraviglioso e la scoperta. In qualunque parte del mondo lei fosse, USA, Jakarta, Kuala Lumpur, l’altrove dei suoi messaggi continuava ad esistere e ad aprire un sentiero sotto i cirri. Il libro si snoda in un sentimento che risale i declivi della mente e come l’aria mutevole si sposta consegnando ai pensieri l’idea di aprirsi e di chiudersi, al chiaro di espandersi. In questo rapporto a distanza innamorato più che mai del sentire, emotivamente e spiritualmente ricco, la realtà viene spesso ferita dalla sua «rozzezza» e una pratica zen (che forse si riferisce all’autore) si sovrappone alla schiettezza delle avance di un uomo che spera di condividere un amore dopo ben nove anni di amicizia consumata via e-mail. Balzano intermittenti dolcezza, desiderio e angoscia dietro un muro che impone ai sentimenti di dormire. A lungo il corpo ha vegliato il sentire pronto a fondersi con l’anima di Shoko.

«L’impermanenza del tutto» dove ogni cosa cambia, anche il dolore, si accompagna all’idea inquieta di amare, alla leggerezza delle braccine di lei. Per molto l’amore ossessivo fu la luna nel buio che non porta frutto ma solo un piccolo raggio ogni tanto, un bagliore minimo che si prolunga all’alba. Poi finalmente a Tokio durante un suo concerto il violinista la incontra. Gli eleganti e superbi filati intessuti per nove lunghi anni tornano ad essere come filari nel cielo. Francesco era tornato a Tokio per registrare due concerti e lanciarli come Cd sul mercato nipponico. Shoko era diventata una donna. L’unica testimonianza visibile del loro primo incontro erano gli occhi di lei ancora radiosi di adolescenza. In questo racconto suoni volubili e polimeri di ametiste, di idee mandano spesso in frantumi la bellezza del sentire che si fa chiara quando candore e levità risalgono la leggerezza nipponica di Shoko, «quel dono un po’ folle che un poeta, scrivendo versi per la sua donna, aveva chiamato la voce a te dovuta». Che festa ritrovarla nei sogni! A lungo acquattata da qualche parte la felicità si presenta come buon auspicio nel sonno che risale la coscienza. La volontà di ricucire i pensieri, i troppi azzardi interpretativi di un amore voluto solo alla stregua di un folle desiderio conducono a uno spartito drammatico, delicato, fragile, all’inverosimile gravità di quanto ci resta di tutto ciò che è lieve.

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