Campi d’ostinato amore (ed. La Nave di Teseo, Milano 2020)
Forse mai un titolo è stato più indovinato di quello del più recente libro di Umberto Piersanti Campi d’ostinato amore, pubblicato dalla casa editrice La nave di Teseo ed uscito nel mese di novembre del 2020. L’amore, infatti, inteso quale pienezza di affettività, di emozioni, pervade ogni singola lirica di questa raccolta in armoniosa unitarietà. Abbandonate le giovanili lotte ideologiche, le fughe alla ricerca dell’attimo perfetto e la lotta contro l’ineluttabile dispersione del tempo, l’autore si lascia rapire dall’affascinazione del proprio mondo memoriale: di un’infanzia felice e fatata, di quella calda nicchia, simile ad un Presepe, non a caso i genitori avevano “quei nomi immensi/ del Vangelo”, cui rifugiarsi nel dolore. L’infanzia è certamente tra i ricordi l’età più tenace, che quasi ossessiona il poeta: “terra di memorie/ l’età che s’inoltra, / di volti che s’affollano/ e vicende”. Un afflato fiabesco permea da sempre la poesia di Piersanti, afflato che non elude il riemergere di memorie drammatiche, legate alla Seconda guerra mondiale, che lo hanno visto bambino: “dalla marina salgono/ i signori del ferro/ e del fuoco/ con gli elmi calati, / tu fuori dalla Storia/ nell’abbraccio del padre/ solo e felice.”
Nella prima sezione del libro, intitolata Il passato è una terra remota, accanto alla crudele realtà della guerra, emerge in particolare nitida e chiara la figura rassicurante del padre, partito soldato. Nella poesia Febbraio 1941, in cui l’autore immagina il momento della propria nascita, si susseguono versi colmi di fatata suggestione: “Forse nevicava quel giorno/ come adesso, / stroncava i gialli, / impazienti favagelli/e nevicava forte nei Balcani/dove il padre soldato/ nel suo lungo cappotto si rannicchia, / autarchico e gelato, /gelata la discesa”. Una nebbia densa avvolge i volti delle persone amate, i luoghi dell’infanzia, la casa giù nel fosso, dove il bisnonno Madio, chiamato in questo libro l’Antico, raccontava al poeta bambino storie magiche ed incredibili. Nella poetica piersantiana questo elemento assume una valenza positiva, perché simbolicamente rappresenta il preludio alla pienezza dei ricordi ed uno scrigno segreto dove custodirli. Attraverso ed oltre questo morbido ed impalpabile velo, l’autore rivive, infatti, il sogno quasi amniotico della sua età infantile, pervasa d’amore ed a uno a uno riaffiorano i volti familiari: “padre da grande tempo/ dimori oltre la valle/che la nebbia copre/la grande nebbia/ che sta oltre, / oltre ogni casa/ e campo, / come chi ha la vista/ quasi spenta/ risalgo con le mani / alla tua fronte,/ su ogni piega/ mi soffermo e insisto/ del tuo magro sorriso/ ricerco il dono”. Come un antico rapsodo, dagli occhi offuscati, Umberto Piersanti narra della sua gente, delle vicende vissute nel corso dell’infanzia nel folto delle selve o delle radure delle Cesane, che assurgono a patria poetica dell’autore: luogo mitico delle radici famigliari, ma anche il teatro, netto e struggente, di gioie e dolori. I versi hanno il respiro della natura, che accompagna gli episodi esistenziali e memoriali del poeta con straordinaria forza consolatoria. La magia dei luoghi, tuttavia, non esclude il pericolo, il lato oscuro della vita, il male: “come il capriolo che s’imbosca/ dove la macchia è più folta/ tra spini e rovi, /è passato il lupo/ non distante”. Questo simbolismo appare evidente anche nella lirica Al Fontanino: La biscia sta sepolta/ lì tra i fiori, / sempre pronta/ a morderti la mano”.
Un ostinato amore lega Piersanti alla sua terra, ma anche a quel delicato figlio, malato d’autismo, con cui un giorno scendeva nei folti greppi, divenuti ora inaccessibili per entrambi: “ora tu stai rinchiuso/ nelle stanze/ e il mio ginocchio che si piega/ e cede/ a quei campi amati/ d’un amore ostinato, / sbarra l’entrata”. Torna di frequente, in questa raccolta, il concetto del limite, del confine, che non è concesso oltrepassare, nonostante la ricerca di un possibile varco: “ci sono luoghi/ dove finisce il mondo, / dietro una rupe/ o un greppo/ il più lungo e fondo, / l’aria non sale/ ma scende basso/ e se ci metti il piede/ ti sprofondi”.
Il tempo è una delle tematiche fondamentali dell’esperienza umana che si riflette ed assedia la letteratura di ogni tempo. Nei libri precedenti di Piersanti, era presente sempre una dura colluttazione contro lo scorrere inesorabile delle stagioni, di sovente con toni accentuati e angoscianti; in Campi d’ostinato amore, invece, l’autore sembra estraniarsi completamente dal presente per rifugiarsi in una dimensione memoriale. Egli si rifugia nei ricordi come unica ancora di salvezza, che può dare un senso all’esistenza. La prima giovinezza diviene così l’età delle speranze, delle aspettative, dei sogni, capaci di proteggere e confortare l’animo del poeta. In Ancora un giorno tra i vigneti , ricordando la madre, (alla quale l’autore ha dedicato alcune delle sue poesie più intense, nella prima raccolta einaudiana di lei diceva: “Madre ch’eri fra tutte la più gentile/ persa con le tue amiche in fondo al fosso/ lunga la treccia sul tuo corpo snello”) scrive: “un cenno della mano/ è sufficiente/ per te madre,/ giovane per sempre,/ ad arrestare il tempo,/ a farci tornare alla casa /tra i campi/ la più lieta…”. L’autore si sente estraneo al presente, eppure una sorta di raggiunta pacatezza lo conforta nelle attuali difficoltà, negli “acciacchi” dell’età, che gli impediscono di scendere lungo i greppi o di salire le scalinate del Duomo di Parma. Nell’ultima sezione del libro, intitolata Primavera bugiarda (nei mesi del covid), tuttavia, l’attualità della vita si riaffaccia minacciosa, insinuando un oscuro e misterioso male, celato nello splendore d’una primavera accesa di colori e profumi: “da dietro le finestre/ e stretti ai muri, / del sortilegio/ s’attende la fine, / guardare un’erba/ o un fiore/ senza il male nascosto/ dentro i colori”.
Ancora una volta in Campi d’ostinato amore, Umberto Piersanti, pur con accenti diversi, testimonia la profonda coerenza che unisce il suo particolare mondo poetico, fatto di ricordi, di affabulazioni fiabesche, di luoghi incantati della natura, d’amori mai sopiti. In ogni verso, sempre essenziale, memore della grande tradizione del “canto” italiano, che va dal Petrarca al D’Annunzio, sembra scorrere lo stesso sangue del poeta, la sua particolare percezione del mondo e delle cose, che ne fanno uno dei poeti più ispirati ed intensi d’ oggi. In Campi d’ostinato amore, quel fiore azzurro misterioso di Novalis, da sempre ricercato tra le radure e i monti delle Cesane, “sconfinate come la Galassia “, sembra proprio che l’autore l’abbia finalmente colto.
Raffaella Bettiol