Recensione di Acqua vitae

Pelagos Letteratura. Rivista diretta da Umberto Piersanti

Acqua Vitae” (Pegasus, 2021) di Tiziano Mancini.
Vincitore del 2° Premio “Città di Cattolica” e Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino” 2021
Recensione di Nerio Cariaggi

In una confusione di libri, un piccolo libricino mi era rimasto schiacciato tra due giganti, ‘Dalla semiotica alla tecnica’ di Carlo Sini e il Bergamini di Neurologia. Il piccolo libro non si era potuto difendere dal peso e dalla mole e quindi supposta profondità degli altri due. Il suo fatale destino sarebbe stato la dimenticanza. Ma il piccolo libro, con la sua piccola nota di colore giallo acceso della copertina resistette ai due giganti, ed una notte di terribile canicola estiva emerse dal silenzioso destino che lo aveva già archiviato tra i libri scomparsi, quelli di cui nessuno si cura più e diventano invisibili al cuore ed agli occhi degli uomini. Allora nelle sue notti insonni ed affaticate dal caldo, un lettore, uno qualsiasi, si decise che tanto coraggio andava premiato e che gli si doveva prestare attenzione. Così il lettore, forte delle sue pompose letture si avventurò tra le pagine del piccolo sopravvissuto, all’inizio con un certo distacco e diffidenza. Cosa poteva riservare quel piccolo libro e la sua grande luna nella copertina… ben poco, vista la sua esile struttura e la luminescente luna. Ma il lettore, forte dei suoi vizi e vanità, volle comunque concedere parte del suo tempo al piccolo libro e mai tempo fu così ben speso per quello che c’era dentro, nelle sue pagine, nella sua narrazione.

Il vanitoso lettore all’inizio si trovò un poco sconcertato. I personaggi non avevano profondità psicologica, emergevano così, senza spessore, nei loro vissuti appena accennati. Carlo Pensierini, uomo tranquillo, un poco frustrato dagli anni, dal tradimento della moglie e da poco altro. Il giovanile Alberto e la sua energica figura, il suo strano racconto di un’acqua misteriosa che usciva dal cuore delle Alpe della luna. Acqua terapeutica, acqua magica, figlia di una terra misteriosa con le sue antiche storie e tradizioni. Anche di Alberto ben poche cose, affari andati male ed una bella moglie sempre più lontana. Poi due altri avventori, Luciano e Paride, anche loro persone senza storia, che come tutti rincorrono il sogno della giovinezza e di sfuggire le pene ed i malanni dell’età.

Il lettore un poco inquieto se la prese a male per tanta superficialità nella costruzione dei personaggi. Pensò a Dostoevskij a Joyce, poi allo Straniero di Camus, agli sfortunati personaggi della letteratura decadente, a un intero mondo di personaggi ruminanti, di menti pensanti, di narranti e di narrati senza fine.  La eterna ‘recherche’ di Proust. Tutto nel dimenticatoio, negli avanzi di un secolo che su quella letteratura aveva ben fondato i malumori dei propri lettori. Allora un poco interdetto continuò a procedere nell’intreccio. Un personaggio che sembra morire, Carlo che si prende tutto. Il mite Carlo arraffa per intero la vita di Alberto che non se la passa bene all’ospedale. Si prende anche la bella Anna, il cui nome palindromo non le dà certo nessuna profondità. Pure lei sciatta e senza narrato, una psiche quasi spenta su un presente fatto di scelte non certo da condividere. Carlo addirittura si dimostra disumano, vuole vedere la persona sofferente, a chi aveva tolto tutto. Vuole vincere due volte, vuole vedere le spoglie del povero Alberto e trovare in lui un piccolo momento di lucidità per esibire la sua vittoria. Gli aveva tolto la moglie, la fonte miracolosa e aveva giocato con la sua vita.

Tiziano Mancini

Allora il lettore si fece più attento e ripensò ad un bel libro di Nick Chater professore di scienze comportamentali alla Warwick Business School, dove ha fondato il Behavioural Science Group e al suo libro dal titolo ‘La mente è piatta’. Il lettore pensò tra sé e sé che quel piccolo libro non poteva avere la portata e un riferimento così importante. Però il lettore quasi si scordò dell’afa notturna, del ronzio del ventilatore e del cane che cercava disperatamente un po’ di refrigerio nella canicola estiva.

Ecco la sorpresa, tutta nell’epilogo, il terribile temporale, lo scatenarsi delle forze della natura. Venti e fulmini di una violenza inusitata, ed i nostri personaggi non sanno fare altro che bere alcool in modo tale da essere più vitali ed entrare in situazione. Sembra che l’alcool dia loro un poco di vita psichica, però si sa, le sbronze danno un poco di vigore e postumi tristi e dolorosi. Eppure lo scatenarsi della natura è ben scritto, potente nella dimensione del racconto, forte nell’impatto emotivo, con echi di tuoni e bagliori di fulmini e un pungente odore di polvere da sparo. Il lettore a questo punto capì il senso di quel piccolo ed impavido libro che aveva resistito all’ombra dei grandi libri. Capì che c’era una visione ben chiara della vita, un pessimismo antropologico che stanco delle pretese profondità dei profili psicologici, in un mondo in cui tutti si sentono psicologi, definiva le persone per il loro semplice agire. Nessuno dei personaggi spiega quel che fa, oppure ne dà un narrato, o una parvenza di giustificazione. ‘A nessuno importa di nessuno’ ecco la morale, oppure se vogliamo scomodare Dostoevskij: ‘non resta che far torto o subirlo’. Conta solo quello che le persone fanno, la loro narrazione la lasciamo agli psicologi. Il mondo è fatto di azioni, di fatti, e le persone fanno quello che fanno e su quello vanno giudicate.

Ben fatto piccolo libro, compagno di una notte insonne, ben fatto… Ti terrò caro perché nel tuo breve racconto c’è tanto da imparare. Adesso sei in alto e la tua bella copertina mi fa sorridere, mentre gli altri, più spocchiosi e poderosi, se ne stanno sotto a raccogliere la polvere a cui tu sembravi destinato.

Nerio Cariaggi, docente Scuola Media “Donato Bramante” di Fermignano, collaboratore con l’Istituto di Sociologia della “Carlo Bo”, dove tiene il corso di “Antropologia delle forme simboliche”.

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