Dissociazione elementare di Silvia Gelosi

Silvia Gelosi, Dissociazione elementare, pref. di Gian Mario Villalta, Arcipelago itaca 2022

Questa raccolta di esordio di Silvia Gelosi affonda la sua lama in una prosa poetica diretta e senza fronzoli, una “dissociazione elementare” – come si conviene dal titolo – che ci riguarda un po’ tutti da vicino: riguarda le nostre paure, gli sbagli “innocenti”, il tempo che inesorabile passa, le stesse reiterate e quasi metodiche abitudini, l’assillo di non essere mai nel posto giusto al momento giusto.

C’è un incolparsi e al tempo stesso un dir-si resistenti alle proprie pene, una sorta di commiserazione velata che lascia però spazio a “fasci di luce” e a un qual certo barlume di speranza, come mette ampiamente in evidenza Gian Mario Villalta nella sua accurata prefazione: “da un lato c’è la vita che ogni giorno presenta il conto dell’insofferenza, della fatica, della perdita di quel sé che si sarebbe voluti essere e che ancora si vorrebbe; ma, d’altro lato, quello che ancora si vorrebbe, al cospetto del presente, dovrebbe essere altro, dirsi altrimenti”. Dunque una commistione di identità plurime traspaiono da questo libro, quelle che ci fanno rivolgere lo sguardo sempre all’altro ma al tempo stesso senza poter essere “mai gli altri nel mondo”, come dicono questi versi: “non sarò mai gli altri nel mondo/ non importa se lo impari,/ sono pietra rotta/ sminuzzata e concessa/ ora rimango luce sparsa tra i tagli vivi/ i resti dei discorsi, i cocci buttati qui/ tra le ombre a righe/ confuse dalle foglie”.

Echi szymborskiani si ritrovano in questi brevi componimenti preceduti da un corsivo esplicativo, i quali danno spazio a svariate angustie quotidiane che si rivelano con laceranti momenti di “carcerazione dell’io” “tra il forno e il lavandino”, nel mentre “le stagioni mi rincorrono sul retro/ il ciliegio che non vuole, l’innesto è una ferita,/ lo stesso spacco che non si chiude, questo niente che mi copre”.

Del resto come si fa a non meditare su ciò che sarebbe potuto avvenire ma che invece non è accaduto? È una poesia esistenziale questa, piena di riflessioni su un tempo consumato, che diventa spesso un assillo, un leitmotiv che ritorna sempre uguale e di cui pochi si accorgono, quasi come nel passaggio generazionale da figlia a madre che segna l’approdo ad una piena maturità con tutte le problematiche che ciò concerne: “Rimango figlia,/ madre inesperta, in ritardo sulla luce/ con tutti i danni sulle spalle e adesso/ solo con due mani nude a cacciare spettri,/ soltanto due per sostenerne sei/ nel miracolo che si sporge, che cresce/ cercando di non farci troppo male”.

Del resto quando la vita presenta il suo conto è facile cadere, ma è proprio grazie a questa perdita – sostiene ancora Villalta – “che desiderio, speranza, libertà sono ancora ostinatamente vivi, e pretendono un lamento, una preghiera, un incontro nella parola”.

Riccardo Bravi

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