Considerazioni su Decimo Dan di Marco Plebani

Decimo Dan di Marco Plebani

Decimo Dan (Edizioni lLa Gru) di Marco Plebani, “…grottesco e informe umanoide”, “affetto da… iperestesia antitecnologica”, ma dalla punta d’inchiostro “caparbia e capace”, si apre e si chiude con il medesimo interrogativo: “Che cos’è la vita sulla terra?” – ripetuto tre volte come nelle formule epiche – “È il tormentato sogno di Dio”, all’interno si sbobina la recherche o meglio la quête sulla “risibile vita” che il nostro mette inscena e sviscera nei meandri più nascosti.

L’ambizione è al massimo grado – si pensi al titolo Decimo Dan, riferimento al grado più alto delle arti marziali -, la maestria è palesata, infatti, da un sapiente utilizzo delle forme metrico-prosodiche e da una molteplicità di riferimenti colti che nobilitano il verso; ma è una scrittura che si costruisce “ritmicamente” su “nodi alla gola”, come un singhiozzo infinito nato dal dolore privato, in primo luogo, per poi divenire esistenziale, universale; “Poesia è ferita mai rimarginata / di labbra appoggiate ad un rasoio”.

Certo l’elemento autobiografico è evidenziato già nel corsivo in epigrafe con dedica sui generis: “ A tutti i sacrifici intenzionali, estorti, biologici, / chimici, psicodinamici e monetari / che mi hanno fatto divenire ansiogeno”, ma vi si evince pure un atteggiamento ironico non posa da autocompiacimento e indulgente
perdono semmai di franca arrendevolezza e disperata (at)tenzione all’altro da sé e all’intorno.

L’aspirazione è quella di riuscire a cogliere e a cantare “il boato sotterraneo del magma”, attraverso una scrittura “senza pause e scuse”, un atteggiamento per molti versi puro, candido e innocente, oserei definirlo “esposto” e, dunque, lacerato e sanguinante: “Il sogno è concentrico al sogno / che si avvinghiasanguineo nei corpi”.
Marco Plebani si pone come un samurai pronto ad accettare qualsiasi esito della battaglia: “Prima dell’attacco il samurai / guarda gli occhi dello sconfitto. // Nella sua lama scorre la vibrazione del colpo unico”.

Il colpo unico in molti casi si concretizza in testi brevi, brevissimi, e concisi, affilati e schietti (molti sono haiku) – forse, a volte, questa schiettezza appare come il peccato più evidente in alcuni passi; si tratta, dunque di un lavoro di precisione, instancabile e intenso, ma che, seppur nei tentennamenti e nelle ritrosie, vede la luce nel sole che si appresta a venire incontro all’orizzonte: “Siamo arrivati stanchi
anche oggi. / Andiamo verso il sole
”.

Un lungo e lento apprendistato, minacciato, in alcuni casi, dal rancore, dalla frustrazione, in altri, dal disincanto, ma anche produttivo e innamorato come traspare nei bellissimi componimenti dedicati al mondo della scuola, componimenti che restano tra i più riusciti dell’intera raccolta.

Alessio Alessandrini

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