Pensieri rilegati alle “Metafisiche insofferenti per donzelle insolenti”

Pensieri rilegati alle “Metafisiche insofferenti per donzelle insolenti”
(Mimesis Edizioni) di Nicla Vassallo

da Roberto Marconi

Nicla Vassallo sembra non esistere. Lei immersa nei versi (e l’ultimo verbo non è messo a caso) ci da una prova, ripetuta, della sua scrittura come quando testimonia la sua professione, alla fine di questa raccolta, nei “Ringraziamenti e altro”, ossia il suo tentativo di inserire gocce di filosofia nella poesia contro i versi incomprensibili e che pertanto privilegia la poesia che contiene chiare profondità e sensualità. Ai lettori l’ardua sentenza.
Spiazza spesso, Nicla, facendo perdere chi legge, nei vicoli della mente e anche le tracce si scordano d’essere orme. I riferimenti poi sono solo nella parola e a volte neanche quella assicura. Mia madre è morta / da tempo, / temo di non saperlo, / voi me lo rimembrate / tradendola, / succhiando ancor / il suo ombrellone / in spiaggia, / e le sue brevi nuotate / in quella distesa salina / che ancor / anelate. Un tale corpo a corpo con i termini, nell’assoluto bisogno di comunicare ciò che difficilmente resta nella quotidianità.
Non si può lasciarla del tutto perdere o stare, c’è sempre qualche verso che ti richiama, magari ti invita a sederti in spiaggia e a contemplare, per me, una ragazza e il Conero.

La percentuale d’acqua in un essere umano è preponderante e in questi testi ci sta tutta, non mi stupirebbe se l’autrice fosse un’androgina sirena (doppio salto mortale dei generi) stufa di non farsi ascoltare e che si arena, per un breve tempo, in modo da non farsi dire da altri quello che potrebbe lei continuamente desiderare. Intanto più volte si denuda con una lei e rischia l’amore.
Il suo sguardo imperterrito è pertanto sovente rivolto, il titolo del libro non lo nasconde, alle donzelle (termine usato per primo da Dante che nella “Vita Nova” vuol parlare d’amore con le: “…donne e donzelle amorose, con vui, / ché non è cosa da parlarne altrui…”. Donzella, per rimanere nel topos equoreo, che è anche un nome di pesce della famiglia dei labridi conosciuto anche con gli appellativi: girellazingarellacazzo di re. Così riporta il Treccani che mi fa sentire sempre ignorante) fanciulle, non legate, sfrontate o avventate, per le altre e per se stessa c’è il dileggio, lo stesso si potrebbe dire del genere opposto, basta che i giovani si guardino allo specchio. Si preoccupa, l’autrice, dell’essere femminile, ne sente la necessità se non dell’essenza (sarebbe troppa grazia) almeno della loro presenza, per evitare magari di diventare una balena abbandonata a sé ed è paradossale viste le sue foto, esili.

Potrebbe essere più lontana da me, Nicla e Roberto non hanno alcuna lettera in comune e non ci conosceremo mai se non in questo libro che lei ha scritto, qualcuno lo ha stampato e io che lo sto leggendo (anche se tra i ringraziamenti figura pure il mio nominativo).

Ma torniamo indietro. Dalla copertina scelta; che mi ricorda, fatte le dovute distinzioni, quella del testo di Laura Boella “Le imperdonabili” dove, in primo piano, sono fissati, in sequenza verticale, gli sguardi pensosi di Milena Jesenská, Etty Hillesum, Marina Cvetaeva, Ingeborg Bachmann e Cristina Campo.
Qui, tra le mani, prima di aprire il libro, una giovane e bellissima Virginia Wolf riprodotta, wharolianamente (che termine assurdo), quattro volte, mi colpisce all’occhio. Come a rendere omaggio, come a rendere popolare, invitare a leggerla o a tenere comunque e sempre a mente un donna importante, per la letteratura, a tal punto che le prime due composizioni, di questa silloge, citano (come anche a pag. 48 e 49) questa grande e fragile scrittrice britannica, che di prove letterarie ne ha dimostrate tante, come ugualmente è stata prostrata. Un altro rimando lo abbiamo pure nella precedente pubblicazione della Vassallo: Orlando in ordine sparso.
Altrimenti è servito solo a me scrivere in proposito; ma la serialità ha sempre qualcosa di profondo che tutti devono poter fruire, intendendo l’arte (delle lettere). Un altro fatto curioso, la collana della casa editrice recita in copertina la parola “narrativa” pur trattandosi di poesie.

L’autrice è contro chi usa il tempo in malo modo, chi tra i pensanti potrebbe darle torto? Ma le insolenti imperturbabili continuano agghindate di gonnelle dissennatefemmine senza sgomento, un giorno un vecchio e tenero fraticello mi disse: le donne migliori lo sono sempre al di sopra degli uomini altrimenti, tra invidia, gelosia, ecc. sanno essere peggiori, prive di spasmi e orgasmiadesive donzelle insolenti / maldestre nel desiderare e giocare.

Un libro di poesia, non mi esimo dal ripeterlo, è uno scrigno di vita (tempo ozioso speso bene); pur parlando d’altro, chi lo scrive, non fa in ogni caso che esprimersi di sé; dopo la vicissitudine della madre, Nicla, dice di sé accennando alla bisnonna, anche lei scomparsa ma altrettanto imbalsamata nella pagina e nei miei occhi. Nicla che si incapsula (sua quest’ultima parola ma la futuro) come fratello / quasi gemello.

Sosteneva Umberto Piersanti, a ragione, che il più bel canzoniere d’amore del ‘900 era stato scritto da Sandro Penna, aggiungendo, un poeta omosessuale. Per me quando il poeta scrive del marinaio io vedo una giovane con la camicetta sbottonata o quella che per un attimo incrocia il mio sguardo, e non c’è scompartimento che regga (quante volte questo momento mi ha fatto battere forte l’anima come con la donna che ora divide la sorte con me).
L’essere umano sa essere erotico e la parola poesia sa fondersi naturalmente con il vocabolo foglio. I brutti testi vengono quando sono coercitivi e diseducativi e quando mai si riesce a cancellarli?

L’amore-odio cantato non ha generi, la Vassallo dipende e prende in giro le sue giovani o i suoi uomini, in qualunque posto anche al nostro funerale / privo di qualsiasi onoranza o a ritroso quando la pena capitale si attende, perché un nuovo amore che s’incontra è la fine della solitudine, in uno. Un pensiero dominante che permane pure quando si correggono le bozze di queste composizioni o di altri scritti, quando si percorre il filo che lega le pagine, senza titolo, per stare dietro a queste figure smaliziate o ingenue e si pecca di rime, magari alcune amano gli occhi lucidi o languidi e le parole docili o dolci perché fa “figo”e la mia matita / in questa contorsione da cortisone / sfigura la percezione smagrita / da narrazione ingelosita o perché parli inglese e sei abruzzese… tasti la vita infetta senza rese / e non ti mostri cortese.
A volte si cala il linguaggio per raccogliere la stima.

In capo al mondo ti porta l’amore (anche se resti nel tuo orto chiuso), ti fa fare le stesse cose come fosse la prima volta, l’eros ne è la prova più che ingegno del sesso è conoscenza carnale per te / conoscenza proposizionale per me / e, hai ragione, l’una riesce a legarsi all’altra. Anche se alle frivolezze (da gossip) della movida delle donzelle dalle riluttanti parvenze e focose maldicenze l’autrice oppone i nomi, i titoli degli autori, cantautori (Pessoa, Pasolini, Saffo, Barthes, Ungaretti, Tolstoj – Lennox, Stewart, Vecchioni, Reed, Callas, Conte, Cohen, De Gregori, di quest’ultimo è citata buona parte de “La donna cannone”) con i loro riferimenti e gli incastri nel quotidiano, spesso la battaglia è persa. Questi due mondi si incontreranno? E leggeranno mai questi testi le destinatarie? E oltre le cose sensibili, come si traduce il titolo, si cammina per un filo che regola la vita, monotona e/o curiosa, come singolare è la parte finale del libro nel “Post Scriptum” che anno per anno, iniziando dalla nascita di Nicla, segna un avvenimento particolare che seppur lontano la/ci riguarda, soprattutto nel diritto di esistere. Non lo scrivo neanche dopo quanto accennato, ma riproduco un’altra sua poesia per augurare a tutti buon naufragio (da buon recanatese):

Riverisco le maree,
non più le tue ricolme di bile,
di camuffamenti
quando simulavi di anelarmi
per l’intera esistenza
e mi imbevevi di tracce:
perduta, deserta di me,
così narravi, ti saresti imprigionata
nella tua reggia, ricolma tuttavia di omaggi
preziosi di uomini di passaggio
pure sul giaciglio stagionato
ovunque insudiciato
per sminuzzare ali,
per eccesso riflessive

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