I cigni neri di Enrico Fraccacreta

Pubblichiamo cinque poesie di Enrico Fraccacreta.

Cigni neri (Foto di abudrian da Pixabay )

A lezione di coltivazioni
l’ultimo arrivato sentenzia sulle file binate di semina
escludendo a primavera le balze di pianura
rivestite di girasoli
che con la luce verticale si voltano di colpo
e le grandi corolle dell’esercito scoppiano
e sembrano tanti birilli abbattuti
dalla grande pallida sfera del sole
coi semi neri sparati da tutte le parti
conficcati nelle fessure delle porte crepate
delle masserie, entrati dalle finestre sotto i portici
nei piatti delle minestre a tavola
negli occhi meravigliati del fratello più piccolo,
quando mio padre uscì dall’aia col fucile in mano.
Ecco la cosa più importante, dice
mentre accarezza l’agnello di Gabriele,
tenere a distanza i bambini dalla semina
e dalla raccolta.
Basta il resto dell’anno
a renderli felici.

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Alleggerivano le branche superiori
preparandole all’ultimo palco,
a fianco sul filare discorreva sempre
le braccia si muovevano come se dirigesse un’orchestra
tra la grana minuta degli acini
e la rete dei cirri e dei pampini,
la nota bassa era il suo sibilo da ultimo arrivato
doveva misurare il tempo che gli restava
quattro, cinque mesi
e spartirlo nel lavoro da compiere
senza ascoltare la solita risata
delle quotidiane opportunità sciupate.
Quando girò la testata del vigneto
con la corona degli ulivi intorno,
sembrava un piccolo re del tempo
con le forbici in mano,
mi guardò dall’altra parte del filo di ferro
con la voce che s’allontanava:
centocinquanta mattini nei campi insieme, professore.
Dopo il traffico della vendemmia
nel teatro del crepuscolo
gli uccelli ci vennero a cercare,
ritrovammo la sua forbice
nella nebbia colorata
delle prime foglie rosse.

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Molavano lame speciali
per liberare i tralci dalla gramigna
il vignaiolo assegnava gli attrezzi
poi li mandava nei filari
due per volta a restare un giorno tra le infestanti
come se dovessero percorrere le nazioni
segnare i virgulti già secchi da abbattere
benedire i primi bottoni fiorali.

Dopo che il vento di ponente sgombrò il dosso dalla nebbia
alcuni di loro tornarono spaventati
farneticavano di intere sezioni di piante zappate di fresco.
Vengono all’imbrunire, mormorarono le ragazze
arrivano quando si svuotano i tratturi
e lavorano di buona lena
i nostri amici che non ce l’hanno fatta.

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L’interrogazione sui meristemi era diventata una gara
Totonnopittore suggeriva inutilmente a Fuggianill,
il cagnanese si lisciava pensoso i capelli,
le ragazze si muovevano continuamente
sapevano la risposta, quasi la canticchiavano
maSilenziocheantonioscrive alzò la penna solenne
e parlò con la presunta arcaicità dei poeti

della loro chiarezza notturna,
le loro attese serali di voci lontane
le domande da fare sul mantello del deserto
dove avrebbero radunato le solitudini
fatto la rivoluzione contro il potere degli sciacalli,
srotolato indietro le scritture purché non accadesse
di morire sulla croce per essere salvati.

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Racconta che era venuto al mondo
con le prime luci delle lampade cimiteriali,
si era dimenticato dell’infanzia
delle voragini dentro casa,
il sole che si eclissava dietro i vicoli
sparito, remoto in lontananza
era l’alba dei suoi sotterranei.
Un sole che non muore mai
un pulviscolo pieno di troppe informazioni
confuse, affollate nella testa
impedivano la giusta direzione del raggio netto
per rispondere alla sua ragazza
impegnata dall’altra parte del mondo
a parlare con la luna.
Ecco perché pur volendoci bene
non ci siamo mai incontrati,
dice Antonio mentre innestiamo i cedri,
lo spacco sulla gemma laterale
una mano  col coltello per aria
e l’altra che trema sulla corteccia nuda.

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