Feste galanti e altre poesie

Pubblichiamo la nota critica di Alessandro Zaccuri alla riedizione del classico di Paul Verlaine, “Feste Galanti” nella versione di Romano Palatroni, libro curato da Antonio Prenna per Dakota Press. L’immagine di copertina è di Vittorio Giacopini.

Prefazione di Alessandro Zaccuri

Fra una traduzione e l’altra. O, meglio ancora, tra un verso e l’altro. Così piace immaginare la vita breve di Romano Palatroni, che Antonio Prenna sta riportando alla luce con un lavoro appassionato e paziente. L’immagine dell’intervallo proviene dal capolavoro dello scrittore giapponese Yasushi Inoue, Morte di un maestro del Tè (1981), un romanzo che qualcuno ricorderà per la versione cinematografica realizzata nel 1989 dal regista Kei Kumai, allievo e continuatore del grande Akira Kurosawa. Interamente dedicato alla mistica del cha no yu, la cerimonia del tè che tanto affascina noi occidentali, il libro presenta a un certo punto la figura dello shogun Oribe, un condottiero che «combatte per tutto il giorno in testa al suo esercito; poi, dopo la battaglia, pratica la Via del Tè». Fin qui la descrizione. Quel che conta è però il commento del saggio maestro Rikyū, protagonista in absentia dell’intero racconto: «Più che di sedute tra una battaglia e l’altra, direi che è giusto parlare di battaglie tra una seduta e l’altra». L’esistenza di Palatroni è stata della stessa specie, anche se nel suo caso non di spade e di armature si trattava, ma più modestamente di registri e di partita doppia. Di giorno il lavoro da contabile, di sera e in ogni altro momento libero l’opera di rendere in italiano le parole di Shakespeare e di Baudelaire, di Poe e di Laforgue, di Walt Withman e, appunto, di Paul Verlaine. Apparsa per la prima volta da Ceschina nel 1957, alla vigilia della morte del traduttore- curatore, l’antologia ragionata che va sotto il titolo complessivo delle Feste galanti può a buon diritto essere considerata il testamento di Palatroni, oscuro comandante di un esercito invisibile che adesso, grazie all’intuizione di Prenna, torna finalmente a sfilare in parata.

Questo è, come sappiamo, il secondo momento di una riscoperta avviata lo scorso anno dalla pubblicazione dei “Fiori del male” di Baudelaire nella lezione di Palatroni ed edita postuma, nel ‘59, da Nuova Accademia. L’impressione è che il tendenziale classicismo del traduttore si adatti più al Verlaine in costume delle Fêtes che al dettato scabro – e nondimeno elegantissimo – di Baudelaire. Si presti attenzione, per esempio, a quel termine, “carole”, che Palatroni utilizza sia per l’incipit del baudelairiano Un voyage à Cythère («Volteggiava il mio cuore, un albatro, carole / intrecciano gioioso fra i cordami e dintorno»), sia per il sognante Clair de lune di Verlaine («L’anima vostra un pallido giardino / d’incanti. Un dolce canto di mandole, / grazia di folli maschere in carole / agili, e forse tristi anche un pochino»). Vagamente fuori posto nella prima occorrenza, con quel preziosismo che rischia di sviare il lettore, nel secondo caso il lemma appare perfettamente intonato all’andamento generale dei versi, nonostante Palatroni se ne serva per trarsi d’impaccio rispetto all’originale bergamasques che al femminile potrebbe significare “danze” oppure, se inteso al maschile, “maschere della Commedia dell’Arte”. In qualche modo il “carole” di Paltroni soddisfa l’una e l’altra ipotesi, in sostanziale fedeltà non solo al dettato di Verlaine, ma anche e forse più ancora alla fonte da cui Verlaine stesso e Baudelaire dipendono: i dipinti di Jean-Antoine Watteau (1684-1721), che con Fragonard fu il massimo interprete dell’estenuata galanteria settecentesca.

Attingendo al repertorio di Watteau, Baudelaire si sofferma intenzionalmente sul più enigmatico dei suoi quadri, Le Pèlegrinage à l’île de Cythère, comunemente considerato come resoconto di una partenza verso una meta paradisiaca e che invece, secondo alcuni interpreti, coglierebbe il momento del ritorno da un Eden ingannevole e provvisorio. La lettura di Watteau proposta da Verlaine potrebbe apparire più convenzionale, meno complessa, ma non è in realtà meno ambigua. Anche quando la composizione poggia su un equilibrio perfetto (si consideri, in questa antologia, la resa di Mandoline, che rappresenta tra l’altro uno dei vertici dell’attività di Palatroni), la consapevolezza della messinscena è sempre in agguato. Lo «strappo nel cielo di carta», per ricorrere alla celeberrima espressione del “Fu Mattia Pascal”, potrebbe verificarsi da un istante all’altro, restituendo damine e cicisbei alla loro compromessa corporeità.

Palatroni stesso sembra esserne consapevole, se è vero che nella sua selezione antologica si sofferma con maggior simpatia sulla produzione relativa all’infernale ménage con Rimbaud. E dispiace che Palatroni, autore di una notevolissima versione di Art poétique, non si sia dedicato o non abbia voluto rendere pubblica la propria traduzione della ariette oubliée in cui Verlaine, accordandosi sul diapason dell’amato Rimbaud, porta alle estreme conseguenze il dissidio fra trasparenza celeste e consapevolezza abissale: «Il pleure dans mon coeur / Comme il pleut sur la ville…». Ci si consola con L’êchellonnement des haies, una poesia proveniente da Sagesse (il libro che segna la conversione del peccatore Verlaine a un cattolicesimo fin troppo integrale), nella quale l’orecchio assoluto di Palatroni coglie l’eco di un leopardismo non importa quanto preterintenzionale, restituendocelo con grazia commovente: «Vanno le siepi e l’erbe / all’infinito: un mare / chiaro; tra nebbie chiare, / bacche mature acerbe».
Recanati, Osimo. E Filottrano, dove Prenna si è imbattuto nella tomba di Palatroni, facendone il punto di partenza per le sue ricerche. È la geografia di un’Italia provinciale solo in superficie, ma attraversata da una corrente sotterranea di profonda e sorprendente sensibilità culturale. Una storia tutta da scrivere, questa degli intellettuali che, lontani dai grandi centri urbani, hanno saputo aiutare il nostro Paese a essere un po’ meno straniero in Europa e nel mondo. Rendere omaggio a Palatroni, impiegato di concetto fra una traduzione e l’altra, è già un buon inizio.

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