Per la cruna di Daniele Piccini

Di Tiziano Broggiato

Daniele Piccini – Per la cruna (Crocetti, 2022)

In verità mi trovo in deciso disaccordo con quanti affermano che questo Per la cruna rappresenti la raggiunta, piena maturità della poesia di Daniele Piccini. Penso infatti che a partire dal Canzoniere scritto solo per amore (Jaca book, 2003) la sua voce dal tono severo, schietto e al contempo dotata di una sua limpida trasparenza si sia sempre mantenuta su una linearità alta, precisa, scevra di andamenti ondivaghi e di sicura conoscibilità. Del resto anche con la sua assidua frequentazione della critica letteraria Piccini ci ha abituati fin da subito alla disamina acuta, colta, dalle esemplari citazioni dimostrando di essere naturalmente in possesso di strumenti critici di notevole spessore. Piuttosto, in questo poema egli aggiunge una sorta di ulteriore sublimazione del ritmo, della cantabilità del verso che da sempre distingue la sua scrittura ascensionale.

Una funzione non già e non solo memoriale come potrebbe apparire di primo acchito, scorre nelle varie stanze di questo poema generando un nastro elicoidale che passa dalla realtà fino a sequenze che traspongono desideri, gesti, ricordi che si irradiano in una condizione di attesa e di riflessione. Per raggiungere una tale condizione, che è una peculiare forma di esistenza, la poesia di Per la cruna ha dovuto infrangere l’anima, condizione di un’immagine che vive in ogni caso esente, in un processo di difesa e di mediazione. I versi oscillano sull’asse del vissuto e della riflessione, con tensioni a volte dolorose e in uno spirito mai sopito di elezione interiore. La ritmata, allitterante musicalità lascia un eco di rifrazioni che si fissa nel refrain della memoria. Sfilano così fotogrammi di luoghi e persone alla ricerca del rapporto esistenziale dettato dagli accadimenti. Questo senso di condensata e al contempo trattenuta tragicità apparenta Piccini più a scenari europei che italiani, echeggiando da un lato l’agire tormentato di Benn e dall’altro alcune reminiscenti fragilità di Herbert. La consapevole incisività di questa lirica e la sua accurata lettura, sia corale oppure distinta, a strappi non può che condurre inevitabilmente il lettore ad una appassionata, folgorante simbiosi con il suo autore.

LIV
Il colore dell’aria a primavera
non è chiaro né aperto come quello
che vedono in parvenza gli occhi puri.
Davanti a questa corte – soffia l’angelo –
la tua povera storia è trasparente,
si confessa e si apre come un frutto,
mostra le trame di opera mortale.
Non crederei, se non che l’abbondare
del colore del sangue fa discendere
lacrime grevi che rigano il viso.
Non siamo più nascosti ai nostri occhi –
sibila la mente – siamo lande
disabitate di menzogna, nude.
Così le luci tremano, aspettando
in se stesse l’avvento che le accora.
Piangi sopra il tuo amore, fallo puro
Con le stille del pianto.

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