Estate corporale. Due libri di poesia di Alessandra Corbetta

Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Il perdono è quell’essere che non trovi facilmente: scrivi testi, lettere, chiami a un numero e non ti dà la risposta facendo finta di niente prima o poi arriva quella inaspettata, all’improvviso pure nell’oblio.
La poesia di Alessandra è lapidaria, ogni testo è una parte di pelle: chi legge dentro può indovinarne la porzione o farne parte. Ti mette di fronte a un ricordo, un disagio, a un amore passato dalle mail mai spedite, il souvenir in questo caso diventa carne e ombra. Lei la prende alla lontana, ma neanche tanto, quando inizia la raccolta fisica Corpo della gioventù con un testo in riferimento a una donna, colta mentre s’allena (da velocista) sola in un’arena dopo aver perso il lavoro, in parte così descritta dal suo grande autore e ripresa dalla nostra A. per raffrontarla con se stessa: perché nella vita si cammina sempre in bilico come in una favola e, per non perdere del tutto la strada, si raccoglie quello che si semina, lungo quella via in cui si procede tra cruda realtà e fantasia, “tra sasso e poesia” come in uno specchio. L’unica sicurezza è il verso libero, le pause tra qualche strofa, la prosa quotidiana che entra senza troppi cerimoniali nell’andare a capo (come il nome della casa editrice).

L’amore al centro del libro e soprattutto in periferia non è per forza eterosessuale quando una sorella gli dà il suo cuore in questo caso l’amicizia è di sangue. Il linguaggio si fa strada ed entra tra le fessure (con questo termine inizia la prima sezione) così perforante che anche la nostalgia è una coperta e Alessandra ne tiene il filo, lo stesso che percorre l’orizzonte tra cielo e mare o come nei versi “tra l’onda e la sua schiuma”, quegli spazi bianchi in cui si dice tutto senza proferir parole di troppo.. Scriveva Benjamin in “Metafisica della gioventù” «Il linguaggio è nascosto come il passato, futuro come il silenzio. Colui che parla fa emergere in esso il passato, nascosto dal linguaggio egli accoglie in sé, nel discorso, la femminilità che egli stesso è stato. – Ma le donne tacciono. Ciò che ascoltano sono le parole non dette».

Come le cinque dita di una mano sono le sezioni di questo libro apparentemente minimo, ma l’essenzialità è una pratica di chi matura esperienza nell’inconsapevolezza, se non in calli nella lettura soprattutto nell’ascolto e principalmente nell’umiltà e questo è Alessandra. Cerca non tanto la parola ma gli angoli gli scorci in cui l’amore si mostra nudo come modello. Ecco la sua visione in un testo-esempio:

Di te ho amato l’idea.
Non le mani, né i gesti, né la bocca,
ma di mani, bocca e gesti, l’idea.

Non c’è amore più forte di quello per l’idea:
non ha odore acre, perfetta nella sua tunica
a fiori sgambettare in riva al fiume,
non vede cadaveri passare.

Così, di te, ho amato l’idea di noi
e ora, che nel fiume va via anche tu,
non mi rimane che deporre il pensiero.

Questo è ciò che possiamo fare: lasciare che il ricordo affoghi nella terra della memoria.
Se nel primo movimento, quello delle fessure per intenderci, ci si appresta a guardare dalla serratura dell’esistenza, nel secondo – l’attraversamento – si pone la conseguenza dell’assenza: la fretta fa fuggire chiunque anche l’amore (rimane magra consolazione l’eco nel/del vento) figuriamoci la grammatica le sillabe la punteggiatura ma “le virgole non appartengono / ai poeti audaci ci sono cose da intuire”. Nel terzo movimento si contempla per altro punto di vista (dall’arte al mito, dalla città ad altro ancora) il senso della perdita che sta in buona parte se non del tutto nel tempo, nei – rintocchi – come in un’opera che ci hanno raccontato da piccoli il cocchio, è una questione di secondi, si tramuta in zucca. La favola dell’innamoramento è una dolce e dura prova in cui ci siamo passati tutti e ci passeremo di nuovo, sempre, non possiamo farne a meno. Questo resistere alle delusioni Alessandra lo realizza quando se ne trova fuori, distante, accucciata nella sua fibrosa scrittura.

Per la stessa casa editrice (che folto ha il numero di collane dedicate alla poesia) esce 3 anni dopo per la puntoacapo Editrice di Cristina Daglio, con nota di Marco Sonzogni (nel libro precedente le note erano di Tommaso Kemeny e Lamberto Garzia, con postfazione di Ivan Fedeli) il secondo libro Estate corsara.

Cattolica deve essere speciale anche in autunno
(è come una fede se sei veramente fervente sai che devi donare, anche fossero solo versi, agl’altri) ma quando la stagione diventa più calda ecco uscire fuori il copyright se non ti fai abbagliare dalle solite cose. Tutto l’armamentario o meglio gl’ingredienti si ritrovano qui sotto al sole per niente abbronzante immaginiamo se illuminante: le sdraie, il luna park, un drink adatto e alla fine tutto quello che è scontato non lo è (e non solo nei prezzi) anzi “toccherà vivere al contrario la stagione. / E chiedere a qualcuno di indovinare i nostri anni”. Tornano altri gl’elementi di questo ciclo temporale a volte lungo e possono essere anche i sentimenti o semplici oggetti come il guinzaglio o

Un libro giallo in mano per schivare lo sguardo
di chi ha provato a incrociarti
tra treno e banchina per leggere – pensi –
è fare stare tutto in una riga, evitare
gli strappi di chi piange. Dritto e distratto
neghi la paura di un saluto perché – vuoi convincermi –
scrivere è una briciola di non-vissuto

Quante volte ci è successo di nasconderci dietro gl’occhiali da sole, sperare che l’altra persona si giri, pensare con i se: se quel tempo si fosse fermato e con gl’occhi mi avesse detto molto di quello che ambivo con il cuore che violentemente batteva. Questo è materiale da Baudelaire quanto scrive nello Spleen dedicato alla folla «chi non sa popolare la sua solitudine non sa neppure restare solo in mezzo a una folla indaffarata. Il poeta gode di questo incomparabile privilegio: che può essere, a suo piacere, sé stesso e un altro. Come quelle anime erranti che cercano un corpo, egli sa entrare, quando vuole, in qualunque personaggio. Solo per lui tutto è vacante». Può essere stata tutta una vacanza quella dell’adolescenza, dei vent’anni, quella delle tante Alessandre che identificano nelle città un passaggio di formazione, con questo fondante ricordo che si fa scrittura. Ci si prepara come ogni sera all’uscita: “ritoccare il rossetto, spruzzare il profumo” si attua la scomposizione della “realtà come fosse una parola, decostruirla, strappare la radice, giocare con i suffissi e poi infilarla dentro a un testo”; come se la poesia le premonisse che diventerà una novella Chirone: portando su di sé una ferita o due (di quelle scottanti che abbiamo in tanti saggiato) che saprà forse guarire o sicuramente, di vie d’uscita non ce ne sono a bizzeffe.

A metà dell’opera nella sezione – Durante – (triangolazione di paragrafi che come l’amore si aggiungono al Prima e al Dopo) c’è la prova che tra le mani non troviamo un libro ma le foto in versi di una donna ad alta sensibilità: la guida turistica non avrebbe assolutamente scampo se le chiedessero che cosa sente lei, sul serio, mentre sta spiegando un angolo urbano. Tornano come brani cutanei i testi che accolgono tutto il resto del corpo, anche laddove si ritrovano conficcati tra la carnagione bianca: unghie occhi e capelli; così le descrizioni delle città sono proprie realtà, una geografia corporale che va come a chiudere un capitolo intero iniziato pochi anni addietro, per la precisione 3. Con l’ultima sezione “Dopo” contrario non del tutto al Prima ma ancora più di Prima, si ha la conferma del ritorno per immortalare o un tornare nuovamente per (ri)prendere ciò che di buono c’è stato: ecco apparire la Donata dei “Corpi…” ormai eterna e non più solo di Milo De Angelis. Poco fa una donna nello spazio, con un grado in più degl’altri, pure da lì ha visto gl’uomini con le loro leggi diseguali sopprimere donne che portano male il velo: ancora una volta la giustizia è soffocata. In questa poesia di A. intitolata Via delle lame al termine quasi ci si domanda “per chi sono questi versi, se chi va via / è più vero di chi resta”, ecco penso ora a Masha Amini.

La scrittura di Alessandra si distende enumera ciò che la circonda, una lotta impari ma tenace tiene ferma la penna mentre la poesia trema per l’Amore che è attesa infinita. Una corsa di treno tra ferrovie di parole contro il corsivo finale che lapida in buona parte i testi, come epitaffio. Stupenda verso la fine del libro, come una fermata inoltrata al tramonto, la poesia dedicata a Remo Pagnanelli (maestro del dopo, con tale avverbio posto pure come titolo a un suo libro sfidava quello che più volte sentiva nella sua ora ultima), sorta di ripartenza perché morire due volte non si puote.

Si resta per raccogliere quello che è stato per dare un obiettivo al passato e perché il sole che spunta comunque illumina non solo i lucciconi ma altresì un senso nondimeno i denti per donare un sorriso.

Roberto Marconi

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.