Recensione di Soverato di Ottavio Rossani

di Rossella Frollà

Soverato
Ottavio Rossani
Autoantologia con poesie inedite 1976-2018
iQdB
Fuochi

«Come favola senza età» dove memoria e sogno giocano a rincorrersi, affiorano immagini luminose a ingannare le incrinature del mondo e delle cose. Sotto il «grondante carrubo» a «occhi chiusi», di corsa «per non vedere fantasmi» nel passaggio da una età all’altra, nei ritorni al mare insondabile, al luogo. La Patria poetica, direbbe Umberto Piersanti, il luogo assoluto. «Se potessi mi porterei il mare» scrive Ottavio Rossani in questa raccolta tenera, delicata, che racchiude in sé orizzonti di senso e una forte tenuta emozionale.

La memoria è il naturale atto di accoglienza del tempo, è l’immagine del cuore che recupera i venti sotterranei dell’infanzia, le sorgenti intatte dell’interiorità, i luoghi riconosciuti e amati, i ritorni. Così sgorgano struggenti e vertiginose acque tematiche di quelle emozioni bambine che hanno il massimo potere sull’uomo: può piangere o godere di se stesso nelle nuove mescidanze. Le amicizie stellari di nuovi spazi esplorati e persone, l’onnipotente violenza che spinge lontano l’uno dall’altro, l’uomo e il suo mare mutato, il divenire estraneo che incombe, ci fanno sentire più amato e più degno di noi quel territorio assoluto che ci appartiene da sempre.

Contaminata dalla vita, fragile e radiosa, rinasce la comunione col luogo come scintilla che non si spegne facilmente. Si annulla ogni distanza e ogni apparente indifferenza. Ogni banale quotidianità si fa da parte quando scendono le vicinanze impreviste del ricordo. Vi è l’essenza di un’amicizia aperta alla memoria, un circolo di reciproca solidarietà nel quale il passato si attualizza e si permea di significati nuovi e creativi. Nuove congiunture si delineano, in questo libro, come «collana di lampade accese»: la delicatezza del racconto, la descrizione mobile ed elegante che rifrange la bellezza di un territorio amato: «Pece sulla linea dell’orizzonte./Il Golfo sembra un lago./Ma lì dove s’incunea la curva/delle colline fino al dirupo di Copanello/le distanze sono segnate dalle luci,/grandi e piccole, intermittenti o ferme.».

Non c’è nulla di ancora più fragile e luminoso di un ricordo, un ritorno tra le intermittenze del cuore di una patria mai dimenticata. La speranza è un arcobaleno che colora attese e avvenimenti e storie vere e fantasticate. E la parola si fa triste quando «Al taglio di pietra la sposa ferita/sulla collina ventilata rende forza./E alimenta l’ortensia, ogni mattina,/quel corpo offerto al pianto.»; quando resta dell’estate «un mare placido e ronzante/nel lucido filo del tramonto//pochi giorni di fascino solitario,/nel cuore l’immagine del non detto,/come segno d’amore irrazionale. E sempre: «Vince il desiderio di tornare/un altro giorno, un’altra alba,/un altro anno, un’altra vita.». Il linguaggio limpido e lievemente rattristato come dopo un bel sogno crea una stagione nuova nella parola ancorata a una bellissima e intensa descrizione della natura che accompagna l’umana esperienza della fatica di vivere.

Emozioni inespresse escono da rêverie che volano alte sopra i luoghi primigeni, lì, dove solo la gentilezza dell’anima e una nutrita accoglienza sanno testimoniare l’infinito rapporto col luogo. È un libro che si legge con piacere. La vulnerabilità si accompagna alla sensibilità, ai ricordi roventi e inafferrabili, alla nostalgia di prossimità e di amore che solo uno spazio antico sa trattenere per curare le ferite dell’indifferenza e della noncuranza. E anche «Un giorno lontano» bruciato dalla vita non ha più pause né confini e si accompagna a un silenzio che avvolge e rende visibile tutto l’amore «di una vita cosparsa di sorprese.» Il luogo è e resta luogo assoluto contro ogni male e ogni sbiadito rapporto con il mondo e le cose.

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