‘La resistenza della poesia’ di Raffaella Bettiol

 La resistenza della poesia

(a proposito dell’antologia Il Segno della parola di Rossella Frollà)

Il segno della parola/ Poeti italiani contemporanei di Rossella Frollà (ed. Interlinea, Novara,2013) è un lavoro antologico raffinato e di rilevante impegno scientifico. Già il titolo individua l’amore dell’autrice per la parola, che nel mondo d’oggi spesso non riesce più ad essere un mezzo di comunicazione, perché è divenuta oggetto di un progressivo processo di svilimento e di mercificazione. Se questo, tuttavia, è vero per quanto concerne il linguaggio della quotidianità, per quello poetico, invece, da sempre si è imposta una ricerca chiara e necessitata sulla parola. Mario Luzi, in occasione del conferimento di un’onorificenza, ebbe a dire: “L’importante è ritrovarsi nella lingua, nella parola, nella poesia. Parlo come lavoratore e operaio della parola”.

Un’accurata esegesi critica e linguistica contraddistingue, quindi, questa antologia, che include dieci poeti contemporanei: Franco Loi, Fabio Doplicher, Umberto Piersanti, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Giancarlo Pontiggia, Claudio Damiani, Giovanna Rosadini, Davide Rondoni ed Alessandro Moscé. È legittimo chiedersi quali criteri di scelta abbiano guidato la nostra curatrice, dal momento che questi autori presentano caratteristiche molto diverse tra di loro ed appartengono a differenti generazioni.

In una lunga intervista rilasciata ad Italo Testa, Roberto Galaverni disse: “Pretendere da un critico di parlare di questo o di quel poeta, o di tenere presente questo o quest’altro aspetto storico o culturale nella lettura di un testo, o magari di seguire un procedimento prestabilito, è cosa non tanto diversa che chiedere a un poeta di parlare di cose che non sente e di cui non gli importa nulla”. Le scelte operate da Rossella Frollà, nell’individuazione dei poeti, presenti nelle pagine di questa antologia, a prima vista, sembrano rispondere a valutazioni del tutto personali, ma quando ci si addentra in un’approfondita lettura dei singoli profili critici, s’individuano chiaramente le ragioni e i criteri di selezione operati. Le file rouge, infatti, che li congiunge è la percezione del luogo e delle vicende, quale portato fondante della loro poetica. Un’erlebnis comune li unisce, le cui radici affondano nell’esperienza della cosiddetta terza generazione, rappresentata da Bertolucci, Caproni, Sereni, Luzi e Zanzotto. Questa generazione, infatti, precisa la curatrice, ha amato il luogo, la natura ed ha posto al centro l’esperienza individuale, intrinsecamente spinta da una necessità intimamente lirica, contro ogni tendenza neo-avanguardistica, propria del Novecento, tesa a dare un peso eccessivo al significante.

Il percorso poetico di ogni singolo autore viene approfondito con grande acutezza e sensibilità da Rossella Frollà. Il suo linguaggio sembra rarefarsi, talvolta, in una disamina estrema ed esaustiva dei poeti, i quali emergono dalle sue parole, avvolti in un particolare e dissolvente chiarore.

Di Franco Loi e della sua poetica, il cui il motivo centrale è Milano, la nostra curatrice sottolinea la profonda spiritualità: la “comunione dell’anima con le cose”. Anche nella descrizione del dolore, dei grandi drammi della storia, nella voce del poeta c’è sempre una pace sotterranea, sottesa da una vocazione evangelico-egualitaria. Loi usa una lingua mescidata, contaminata, propria, come ha scritto Brevini, di una classe sociale, che vive in una condizione di subalternità e di emarginazione.
La poetica di Fabio Doplicher ci appare invece complessa. È una corrente che acquista forza non solo dalle immagini evocate, ma soprattutto dalla lingua scelta; il poeta, talora, usa un dialetto che, sottolinea la Frollà: “risponde con amore libero e pieno di gratitudine all’ascolto obbediente e fedele del mondo, protegge ogni carica popolare, riempie la boca de ricordi”. Come notava Remo Pagnanelli, in un saggio dedicato all’opera del triestino, la sua voce è “bachtinianamente polifonica, vorace del suo desiderio di verbalizzare il mondo”.

Una mitografia personale caratterizza la poetica di Umberto Piersanti nella trilogia einaudiana, che nelle sue virgiliane Cesane ritrova il mondo fiabesco dell’infanzia. E’ lì che avviene per il poeta il riscatto dal tempo della cronaca, è lì che l’anima tenta di recuperare quell’eternità che appartiene solo all’età piccola, in un intreccio di sogni e ricordi. Un andamento lirico-narrativo contraddistingue la poesia piersantiana, da sempre rivolta alla ricerca della bellezza, nell’incontro stupito con la natura e con la donna.

Uno dei versi più famosi contenuti nel libro Il disperso, di Maurizio Cucchi, uscito nel 1976, suona: “Io sono proprio di quelli che tengono le briciole nel taschino del gilè”. Di questo libro, accolto con grande favore dalla critica, scrissero poeti del calibro di Giovanni Raboni, Giovanni Giudici e Franco Fortini. È il minimalismo del luogo quotidiano che il poeta ci racconta e, come scrive Rossella Frollà, il suo volo radente lascia che “ gli oggetti parlino da sé e raccontino ciascuno del proprio valore in un’epica quotidiana fatta indubbiamente d’eroi”.
Per Milo De Angelis la parola assurge alla valenza di noumeno, che insiste e quasi trascende l’esperienza stessa della vita, percepita in senso tragico. Una parola che, oltre ad essere sangue e destino, s’incarna in quel Deus absconditus, che pulsa nelle vene segrete, nelle lattiginose periferie di Milano: città simbolo della poematica di De Angelis, per la sua valenza metaforica ed epifanica. “Ogni sua parola va oltre la sua promessa, sottolinea la curatrice, e tutto s’impegna in una promessa successiva”.

Giancarlo Pontiggia, come ebbe a sottolineare Giuseppe Conte, è il più greco dei poeti italiani, perché il più nutrito di cultura classica. La sua classicità, tuttavia, non va intesa in senso puramente estetico, ma piuttosto quale dolorosa nostalgia di una civiltà scomparsa. La poesia per l’autore deve essere un imperativo estetico: sintesi non solo di bellezza e d’armonia, ma soprattutto di forma e pensiero. Suono e pensiero, nella sua lirica dolce e severa, precisa la nostra critica, s’intrecciano “negli atrii ombrosi dell’antica tradizione romano-ellenistica”.
La poesia di Claudio Damiani, lontana da ogni sperimentalismo astratto o mentale, come ricorda Paolo Lagazzi, scaturisce dall’appassionato confronto e studio di autori classici quali Orazio e Virgilio e dalla predilezione verso pochi maestri della lirica italiana del Novecento: Giovanni Pascoli e Attilio Bertolucci. Il ritmo dei suoi versi è arioso e lento, atto a cogliere l’essenza e la bellezza dell’esistenza e della natura. Il poeta, ricorda la nostra curatrice, ci restituisce la vita con lo stupore di un bambino e l’incanto della gioia.

Non vi è alcuna sovrapposizione fra dramma e poesia per Giovanna Rosadini, la sua scrittura, infatti, nasce sempre dal vissuto, dalle vicende personali. C’è una tensione altamente narrativa nei libri dell’autrice e la trama, che unisce le sue due raccolte, la più recente Unità di risveglioIl sistema limbico (Atelier 2008), è il racconto di un risveglio, che da metaforico si fa reale. La sua parola è fin dall’inizio, come è stato scritto, una “convalescenza che perdura”, prima dell’esperienza dolorosa del coma.
Una fresca incisività dal tratto traboccante segna il percorso poetico di Davide Rondoni, il quale con il passare del tempo s’avvicina ad una maggiore essenzialità. Per l’autore, come da lui stesso più volte ribadito, Testori e Luzi, nonostante le loro diversità, sono stati i suoi maestri. Dentro di sé, infatti, sente d’aver fatto una loro “strana” sintesi. Come la vita è ricerca, per Rondoni lo è anche la poesia, in una “straordinaria incandescenza”. La sua lirica s’impone per un straordinario afflato vitale, legato alle personali vicende e alle vicissitudini del suo tempo.
La poetica di Alessandro Moscé è fatta di vicende, di ricordi, narrati da una parola altamente evocativa, capace di proiettarli sulla pagina quasi in diretta. Non c’è nei suoi versi un compiacimento memoriale: il ricordo dei luoghi, delle persone si sviluppa in un susseguirsi d’immagini precise, limpide, ma al contempo colme di suggestione. La sua è una poesia, suggerisce Rossella Frollà, lontana da ogni ideologismo e immersa nel vissuto, debitrice del mare e delle colline fabrianesi.

Raffaella Bettiol

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1 commento a “‘La resistenza della poesia’ di Raffaella Bettiol

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