Benvenuti a “I luoghi persi” di Umberto Piersanti

i luoghi persi piersanti

i luoghi persi piersanti1. Le stagioni sono pronte a contraddire l’etimologia come le giornate a perculare i meteorologi, ciò succede nel misurare l’andamento dei versi in Piersanti: sono onde emotive tra passato e presente e viceversa, in loop; nella raccolta apice della sua carriera (folta di riconoscimenti) come concorda Galaverni nell’introduzione alla riedizione de “I luoghi persi” (impreziosita da alcuni inediti) che, nella sua nuova veste (carta patinata e copertina dalla grafica riconoscibile), Crocetti (editore rinomato per la poesia e per la sua rivista) rende merito.

2. La memoria del poeta è sempre viva, calda come l’”estate che perdura” e che apre le danze al libro: sciorinano così gli scorci delle Cesane e i loro miti, i propinqui con le loro maniere, le dogaie che celano chissà quali arcani, la beltà che sboccia dall’agro (il tanto decantato favagello che soltanto Wordsworth lo ha sfiorato. Il nostro autore reinventa un florilegio in un intero capitolo), l’arbore quanto eros avrà registrato, insomma, tutto quello che può seminare e florido trasformare in parole per un foglio, due, una serie di pagine, un manuale vitale.

3. Il libro allora non può non divenire un ritrovo personale, nel creare l’autore crede di essere l’artefice unico ma l’abbraccio di chi lo legge ne fa dialogo. Se non è un bohémien arrivato avrebbe un cassetto pieno di incubi. Il convegno piersantiano fa la funzione principale d’una biblioteca: le opere tenute (che non sono volumi ma devono riempire i cervelli) sono solo un pretesto per accogliere persone che s’incontrano, per leggere ma più per progettare, discutere, sognare. Immaginiamo una struttura pubblica a cui non viene dato l’accesso agl’astanti che bisogna lanciarli dalla finestra gli articoli. Per scrivere in poesia bisognerebbe leggerla tutta quella prodotta nei secoli, ascoltare Umberto è in parte come aver letto il 900 non solo italiano.

4. Il titolo della raccolta è una segnaletica per stanare tutti quegli aromi, lucori, sguardi che hanno fatto battere forte il cuore, che hanno formato la colonna vertebrale della nostra vita, provata, spezzata, reliquia. Così tra i titoli dei sottocapitoli troviamo “Frammenti di poema”: seppur lontano e aspramente critico nei confronti della neoavanguardia il poeta non disdegna di sperimentare la sua voce quando detta al magnetofono i suoi versi, ritagliati perché appunto scorporati (poiché l’oralità è venuta prima della scrittura come la notte dei tempi). Chi scrive quando s’inaugura si perde: magari cade nel gorgo (per scomparire) oppure riesce a mostrare il suo El Dorado (per ritrovarsi). Quest’ultimo fa al caso nostro.

5. L’aggiunta all’edizione originale einaudiana (cui è ricca di sicuro la critica, per qualche curiosità rimando ad esempio a “Il collaudatore d’altalene (Autismi e artifici letterari)” affinità elettive, 2016) è quella di 12 testi, come i mesi, tutti composti nell’anno 2021. Qui voglio errare, laddove il poeta lega quello che scruta oggi, vivendo a pochi chilometri dall’Adriatico nel centro delle Marche, a ciò che accade al contempo nel suo luogo d’origine (nell’urbinate) e a quanto è successo anche addietro nel tempo. Una cosa unisce il trascorso e l’odierno: il cielo che “rispecchia”: onnipresente perfino quando s’annuvola vela nel mistero le ere. Noi non possiamo fare altro che sdrucire le pagine del lunario e se abbiamo cuore, a donarci agl’altri.

6. Piersanti ha una necessità, quasi ungarettiana, di datare ogni poesia non solo credo per una sorta di diario autobiografico, pure per rivelare come il tempo scorre e ciò che lascia sono pozzanghere di memoria: il mare della poesia fa restare a galla questo poeta e l’acqua sono come parole eterne. Lampante è un testo intitolato “28 agosto 1944” concepito nel luglio 2021. Settantasette anni di distanza per un fatto cruciale avvenuto a Urbino (e per altre date e in tanti altri posti in Europa): quando venne liberata dalle truppe alleate e dai partigiani (in Francia nello stesso giorno venivano liberati dall’occupazione tedesca Marsiglia e Tolone).

Umberto Piersanti

6.1. Umberto ha 3 anni, i ricordi sono annusati, pochi, ma tanto raccontati per l’album della memoria. Il testo fa da tessuto connettivo tra presente, passato e futuro. Per gl’occhi d’un bimbo tutto è immenso e gl’ultimi versi, tra le linee, suonano vuoti perché è una speranza ancora oggi vana: che l’invasione e la violenza non abbiano più dimora. Forse la verità della guerra è in quella veduta d’insieme: i primi interrogativi senza vizi, individuare le stranezze degli adulti, un balocco che conforta una mano che rafforza, in alto ci si salva si vede come fosse la verità. Cresciuti poi si fanno idiozie (ci si adultera con piacere) il tutto fa gioco nell’insensibilità. E dire che ieri era meglio di oggi o al contrario diventa futile, l’istanza magari è approfondire il proprio specchio e che le parole affrettate errano. Oggi la guerra mondiale (terza, quarta,…) si fa principalmente con le voci dei social, delle news e non ci riconosciamo più.

28 agosto 1944

eravamo sui tetti,
tutto Urbino sui tetti,
e scendono dalla Cesana
i carri, grandi dieci volte
quelli dei buoi,
e fitti, fitti come grandine
quando fischia e rimbalza
sui vetri e contro i coppi,
perché la gente urla
e piange e ride?
che succede ai grandi
a te d’intorno,
portano bene o male
i carri immensi?
e dov’era la madre,
in quale punto esatto
di quel tetto immenso
che la memoria ti spalanca
e oscura,
e le sorelle,
quella castana
che già porta i tacchi
e l’altra, la bruna,
quella con la gonna bianca?

tu giochi con la figlia
del capoguardia,
non lo ricordi,
te l’hanno raccontato,
l’orso di pezza
cosi morbido e folto
solo se lo sfiori
quella s’arrabbia,
tu t’allontani,
fissi campi e carri,
e s’odono colpi di mitraglia,
alla seconda pineta
c’è una pattuglia,
sola e sperduta,
ma spara,
spara con la testa nascosta
dentro l’erba alta,
spara sempre,
sono fatti d’acciaio
questi tedeschi
come i carri
che a loro
non danno scampo

e sopra i Torricini
passa un aereo
e vola basso,
verso Montecalvo,
dove i tedeschi
si sono trincerati

tu ti spaventi,
quel fischio era la porta,
la porta del Rifugio
bassa e storta,
dove se entri
non sai
se riscappi

e allora piangi,
corri dalla madre
afferri la sua gonna
e ti ci stringi
ma la sorella grande
ti consola

– la guerra s’allontana,
sopra Urbino,
Sopra la nostra casa,
gli aerei non torneranno,
non torneranno mai –

Luglio 2021

Roberto Marconi

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