Luminoso retablo

isola tra le selve piersanti

Come un retablo che schiarisce le nicchie, avvampa ai vetri, ci appare questa recentissima antologia di Umberto Piersanti L’isola tra le selve (ed. Marcos Y Marcos, Mi.2025), curata e introdotta da una precisa prefazione di Massimo Raffaeli, esegeta e amico da lunghi anni dell’autore. I testi, selezionati con grande accuratezza, vengono a rappresentare sessant’anni di attività poetica dell’autore e sono tratti dai libri: La breve stagioneIl tempo differenteL’urlo della menteNascere nel 40Passaggio di sequenzaI luoghi persiNel tempo che precedeL’albero delle nebbieNel folto dei sentieriCampi d’ostinato amore; chiude il florilegio una sezione inedita, intitolata Poesie nuove.

Ciò che si evidenzia fin da una prima lettura de L’isola tra le selve/poesie scelte 1967-2024, è l’assoluta fedeltà di Piersanti alla sua Weltanschauung e ad una particolare sensibilità, che non verranno mai meno, pur nelle diverse fasi della sua vita di uomo e poeta.

Da sempre il suo canto è legato alla memoria, Giacomo Leopardi scriveva che i sogni e i ricordi possono essere inquieti e dolorosi, ma la memoria li addolcisce, li riverbera in una dimensione mitica. Già In frammento lirico (La breve stagione ed. Ad libitum 1967), breve testo giovanile di Piersanti, emerge con chiarezza quanto sia fondamentale per lui il momento memoriale: “Ricordi la casa perduta tra i greppi/ il sapore del fieno/e l’immensa famiglia contadina?”, poesia che già racchiude in sé le tematiche fondanti della poetica piersantiana. La memoria assumerà progressivamente la valenza salvifica di un Eden, di un paradiso, anche se perduto, in cui rifugiarsi, in cui forse dimenticare i dolori del presente. Fin dalle prime raccolte l’autore, inoltre, tramite il suo lirismo intenso, anche se in chiave classica, avvolge ogni ricordo di persone e luoghi in un’atmosfera mitizzante. Già dalla raccolta Il tempo differente, Piersanti scriveva i versi: “Mi commuove il ragazzo immortale/ alla luce chiara di gennaio/ ha il cammino lieve di un dio/ e una femmina tenera sulla spalla.” Anche Jacopo, il figlio malato di autismo, chiuso nel suo castello impenetrabile, viene trasfigurato dal padre, in un’aurea mitica: “e t’ho visto allo specchio/ e m’eri accanto/ adolescente forte luminoso”. Il dolore per la malattia del figlio, per cui prova un amore ostinato e faticoso, diverrà uno dei motivi più incisivi e intensi della poesia di Piersanti: “ridono gli altri padri, /giovani, nei giacconi, / io e te forestieri/in questa sala, / e tu straniero/ anche dentro il mondo”. La giostra, tratta dal libro Nel tempo che precede, è una lirica di una straordinaria forza espressiva: “figlio che giri solo/ nella giostra, / quegli altri la rifiutano/ così antica e lenta, / ma il padre t’aspetta, / sgomento e appartato/ dietro il tronco, /che il tuo sorriso mite/t’accompagni/nel cerchio della giostra, /nella zattera dove stai senza compagni”. E il dolore personale si fa anche dolore per le atrocità della storia; non si deve dimenticare che Umberto Piersanti è un acuto osservatore delle vicende dell’umanità e non dimentica di certo quelle inerenti alla seconda guerra mondiale, di cui ha dei lucidi ricordi della primissima infanzia. Nella poesia Gli dei della guerra (fuori del tempo) della sezione inedita suonano i versi: “erano gli dei della guerra, / non sarebbero mai morti, / quei soldati dall’ampio sorriso/ sotto le bustine o gli elmi” e più oltre: “andavano a combattere / a Tavoleto contro i tedeschi/ dagli elmi schiacciati, / soldati duri come il ferro// ma nessuno moriva, / pensavi/ a quattro anni/ affacciandoti al cancello”.

 Le figure femminili sono vissute, anche nei momenti più erotici, in una dimensione panica e solare: “era la prima donna che stendevo/ tremando dentro l’erbe del torrente/ e l’acqua che scendeva alla marina/ passava gonfia di rami e fiori.” È con loro che negli anni duri della contestazione, di gente rovesciata nelle piazze, l’autore, nel suo slancio rivolto alla bellezza e all’armonia, fugge alla ricerca dell’attimo perfetto, ossia l’incontro stupito dell’uomo con la natura, vissuto assieme a una donna, compagna di quell’avventura, in un luogo perso nel sogno e nella memoria. Nella poesia a Sonia scrive: “Iniziò con la fuga/ costante tra l’Appennino/ l’ostinato mito di erbe, di chiese”

Umberto Piersanti, definito cantore della Cesane, ha un legame strettissimo con la sua terra dove natura ed arte si fondono in un unico paesaggio, che assurge a patria poetica: “Le nevi d’una volta / sulle Cesane / i volti d’una volta / sulle Cesane / le vicende d’una volta / sulle Cesane, / l’acqua del fosso forse / si è oscurata, / magari i ciclamini / dove hai sfiorato / la biscia che lì sotto / sta nascosta”. Sono i luoghi della sua vicenda umana, di quella civiltà contadina, da lui celebrata ne I luoghi persi, la prima raccolta della triade einaudiana, di quell’inquietudine che mai lo ha lasciato e di quel male oscuro che l’ha colpito, dal quale è nato il libro, forse il meno riuscito, ma il più sincero L’urlo della mente.

La poesia L’isola tra le selve, che dà il titolo all’antologia, rappresenta la sintesi della ricerca esistenziale e poetica dell’autore. Di quel viaggio che lo ha condotto non solo in luoghi lontani, ma in uno spazio diverso e assoluto, che è rappresentato metaforicamente da quella casa tra le selve, sola e sprofondata. Quella casa è la sua vera Itaca, l’isola da ritrovare tramite la memoria: riaffioreranno, nel canto alle Cesane i volti della nonna Fenisa, del nonno Celeste, di Madìo col suo biroccio su cui saliva lo sprovinglo e l’intero mondo della sua infanzia e adolescenza, ormai scomparso. Il nostro autore ha forza lirica di un antico aedo, che fa rivivere nel canto, attraverso luminosi fotogrammi e flashback, una passata civiltà contadina e le vicende legate alla propria esistenza. Dalle nebbie del passato, grazie alla sua forza espressiva e lirica riemergono le immagini della sua infanzia e della sua adolescenza, sono chiare e piene di dolcezza le figure della sua famiglia, così perfetta: il padre che torna dalla guerra, la madre, a cui sono dedicati versi di straordinaria levatura e amore, che possono evocare lo stil novo: “madre ch’eri fra tutte la più gentile/ persa con le tue amiche in fondo al fosso/ lunga la treccia sul tuo corpo snello”. La funzione della memoria del nostro poeta, quindi, non è soltanto salvifica, ma rappresenta anche un corpo a corpo contro l’oscura minaccia del tempo, ché la vita è “un pomo rosso e mi dispiace/ che ad ogni morso un poco s’assottiglia”. Piersanti ama profondamente l’esistenza, ne percepisce i profumi, i doni che offre, nonostante la minaccia oscura del male; in una breve lirica de La breve stagione, ancora da ragazzo scriveva: “ho invano afferrato il mio cuore/ per lanciarlo in cieli luminosi/ gli occhi ostinatamente sinceri/ l’han fatto ribalzare sulla strada”. Il tempo differente e quello della cronaca vengono così a fondersi in un enunciato evanescente e mitico, pervaso da una luminosa nota nostalgica: il mito tuttavia, nel Nostro, non ha nulla di letterario o culturale, ma si configura in una mitografia personale.

La sua affabulazione, lirico- narrativa si snoda melodiosa spesso nel verso principe della nostra tradizione, l’endecasillabo, anche se spezzato o frammentato; talvolta, inoltre, prende del parlato dell’Italia centro-adriatica. Piersanti, come nota nel retro di copertina Fabio Pusterla, ha scelto d’essere lirico in un’epoca che nega la lirica ed è rimasto sempre fedele alla nostra grande tradizione poetica, rifiutando ogni sperimentalismo e rivendicando il diritto di cantare la natura e di rivivere un tempo mitizzato.

Ne L’isola tra le selve possiamo, dunque, ritrovare e riassaporare tutta la ricchezza della poetica dell’autore urbinate fin dall’inizio: un inesausto viaggio alla ricerca della bellezza, dell’armonia, di un’eternità che sola può vivere nell’attimo reso eterno dalla memoria.

                                                                                                  Raffaella Bettiol

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