Pelagos Letteratura. Rivista diretta da Umberto Piersanti
di Rossella Frollà
Marco G. Ciaurro
Vocazione e custodia del senso di verità.
Saggio sulla poesia di Francesco Belluomini
Il bisogno antropologico di custodire il vero, oggi, più che mai ci pervade in senso trasversale, ed è il solo a generare un nuovo percorso verso il senso di valore della cultura che si fa nesso di etica e linguaggio. Tuttavia, coesiste anche un non senso significante in cui la scrittura risponde del soggetto (esistenzialismo). La spezzatura, la deflagrazione del sé sull’io si fa il transfert in cui il linguaggio si fa sacro e la persona il suo soggetto. E dunque si accoglie ugualmente questa curvatura che si crea, questa spezzatura sacra e si procede per fascinazione e disincanto su questa soglia della parola che si costituisce da sé in valore al di là di ogni valore convenuto del dicibile.
Così, tornando a Belluomini, la sua «metafora viva, per dirla con Rorty (scrive Ciaurro), è il mare», è la bussola simbolica, la prima radice autentica di conoscenza. Da mozzo a marinaio, a nostromo «il destino autentico dell’uomo partecipa al senso di domandare nella e sulla esistenza.» La poesia di Belluomini ha questa costante interrogazione. L’ascesi che l’io elabora, il poiéo, la cosa linguistica attraverso l’altro io, la voce che parla da dentro sono «il porsi in opera della verità» (Heidegger). Le rêverie oltrepassano l’io nei suoi livelli di significanza. Il dire della voce di scrittura si fa segno-canto, canto del segno liberato dal legame incalzante e talora frenetico del significante e annuncia per sua necessità l’oltre con sermo humilis. Questo movimento del segno è «capace di ospitare [… ] l’aria che alimenta la parola e il piacere che trascorre il testo.». Si apre in molti tracciati una profondità leggera, giocosa quanto ironica. Il moto del segno spoglia e riveste quel tratto di gergo a cui si innesta di nuovo un segno letterario che si ricompone nel suo significante. Si attua l’equazione pensiero-parola, parola pensiero oltre. Al volo si prende la ricchezza infinita che veicola nel reticolo linguistico, nel cammino della lingua da un sermo humilis a un rimario sonoro: «C’è la festa che sale/su di ogni giornale/ma è sempre più sola/la più schietta parola.». «Le gradazioni di senso vanno dal poetico all’impoetico, dal canto al controcanto, dal lirismo all’antilirismo. Vi è la parola veritativa che si accompagna alla ilarità del serio, che contrappone l’autentico all’antiautentico. Il poeta cerca e trova l’invisibile oltre la presenza che di immediato ci viene a galla. La parola dunque agita il profondo che riporta all’io il forte senso di libertà, la volontà di riscatto dalle umiliazioni del potere e il dato storico che ciascuno ha nel suo DNA di aprirsi alla possibilità, alla testimonianza in primis. Testimonianza etica e morale che reclama l’impegno, lo sguardo sulla storia. Un esempio è la testimonianza di Sonia Contini sulla Shoah nel saggio storico e poetico Nel campo dei fiori recisi. Scampoli di olocausto. E ancora il romanzo sul tragico eccidio di Stazzema. Valore veritativo, pensiero poetico e storia si fondono nell’Unità poetica che dà corpo alla parola e a quel qualcosa d’altro che abbiamo dentro.