Dopo aver letto d’un fiato l’ultima raccolta poetica di Cinzia Demi, La causa dei giorni, preme sottolineare subito la sua voce inconfondibile, la quale nasce dal verso breve e scattante che solo di quando in quando raggiunge la misura dell’endecasillabo, perlopiù organizzato in strofe altrettanto brevi, dalla rima coadiuvata dall’assonanza, insistita e spesso ravvicinata, talvolta messa in evidenza da una pausa, visiva se non sonora, ottenuta per mezzo di uno spazio interno. Un minimo esempio può essere utile a chiarire meglio. Una celebre clausola montaliana, «chi resta» (si ricordi La Casa dei Doganieri: «Ed io non so chi va e chi resta»), improntata a un ritmo solenne, in questa trascrizione musicale si trasforma, grazie appunto alla rima ribattuta, in un presto rapidissimo: «se chiudi gli occhi / lo vedi il contrasto / tra il fondale e la riva / chi approda e chi resta / non c’è festa nell’andare».
Questa scelta formale è perfettamente coerente con la ricca sostanza della silloge, che è un bilancio dell’esistenza promosso da un ritorno, memoriale prima ancora che fisico, ai luoghi amati dell’infanzia, a quel tratto di costa tirrenica che va dal golfo di Baratti sovrastato dall’antica Populonia al centro storico di Piombino, dal mare con il suo splendore e la sua «innocenza» purificatrice alla campagna che lo circonda: coerente, dicevamo, perché consente una scorrevolezza di affetti e di paesaggi dell’anima per la quale potremmo ricorrere addirittura alla definizione di flusso di coscienza, anche se la materia è molto diversa la quella del monologo di Molly che chiude l’Ulisse.